Un’area di 340.000 km2 di zone umide è sparita dal territorio cinese in dieci anni. Questa la notizia comunicata dall’Amministrazione forestale dello Stato cinese e confermata dai dati riportati in un rapporto di Reuters.
Una perdita, quella cinese, che va ad incidere sia sullo sviluppo di flora e fauna, che dovranno crescere in un habitat critico, sia sull’economia, luogo di forte concorrenza tra agricoltura, energia e sviluppo.
Già nel 2012 la Cina aveva registrato la perdita del 23% delle proprie paludi d’acqua dolce e del 51% delle zone umide costiere. L’ulteriore diminuzione del 9% sarebbe imputabile alla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e alle conseguenze del cambiamento climatico e coinvolgerebbe soprattutto il Nord della Cina, dove è presente quasi metà della popolazione nazionale.
Un problema che affligge anche la parte meridionale del paese dove è presente il più grande bacino d’acqua dolce esistente che non è in grado di soddisfare i bisogni idrici di una popolazione costituita da un miliardo di persone.
A peggiorare la situazione la decisione del governo cinese di costruire 363 nuove centreali elettriche alimentate a carbone che accrescerebbero le già ingenti quantità d’acqua richieste dagli impianti attualmente costruiti.
Nonostante siano state adoperate delle misure per la salvaguardia delle zone umide, non sono stati ottenuti risultati: dei 9 miliardi di yuan (1,5 miliardi dollari) assegnati tra il 2005 e il 2010 per la protezione di queste aree – cifra salita a 12,9 miliardi di yuan nel 2011 – solo il 38% sono stati effettivamente distribuiti.
Il prossimo passo consiste nell’adottare una regolamentazione pratica e vincolante per la tutela delle zone umide per cui non esiste ancora una politica nazionale forte.
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