Al via il “Venice Sustainable Fashion Forum 2022”, primo appuntamento internazionale dedicato a un futuro sostenibile del settore, per lanciare un appello condiviso tra gli attori principali della filiera che renda concreta la transizione ecologica. Organizzato da Camera Nazionale della ModaConfindustria VeneziaSistema Moda Italia e The European House – Ambrosetti.

Aperti i battenti della prima giornata

Simone Venturini assessore alla Coesione sociale, al turismo e allo sviluppo economico di Venezia ha aperto i lavori affermando che: “La sostenibilità non deve essere solo ambientale ma deve trovare modo di recuperare le produzioni industriali e accorciare le catene di rifornimento e produzione, riportandole a casa. La moda in Italia non è solo un modello comunicativo ma un’industria in cui siamo primi la mondo, perciò ripensarla in chiave industriale e ripensarne i modelli è imprescindibile”.

Recuperare competitività anche nel mondo della moda sostengono Massimo Zanon, Cciaa – Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Venezia Rovigo e Vincenzo Marinese,  presidente di Confindustria Venezia, auspicando che questa prima iniziativa possa avere un grande futuro e sviluppare formule di produzione e commercializzazione che possano rendere l’Italia ancor più competitiva. A parte la bellezza di Venezia, dietro di essa c’è un tessuto produttivo enorme: si investono 3,5 miliardi e mezzo all’anno in interventi di sostenibilità, come è successo con la bioraffineria, e le aziende della moda locali esportano il 39% e capitalizzano ogni anno 7,7 miliardi di euro. 

“Just fashion transition”: lo studio The European House – Ambrosetti

Flavio Sciuccati, senior partner&director of the Global Fashion Unit, The European House – Ambrosetti nell’introdurre lo studio svolto, ha sottolineato: “Questo è un settore che si muove compatto, nonostante le tante filiere, per questo vogliamo che il dibattito si posti sui contenuti scientifici. Lo studio è un punto di riferimento con l’obiettivo di fotografare dove si trova il settore oggi, volendo fortemente che la sostenibilità diventi un riferimento non solo per i grossi brand, ma anche nelle filiere a monte, le cui aziende vanno aiutate e sostenute. Da esso emerge che i giovani sostengono la sostenibilità ma non la vogliono pagare di più e questo non va bene. Con questo studio, vogliamo indicare una roadmap, che si chiude con delle proposte concrete su ciò che secondo noi va fatto, così da ritrovarci l’anno prossimo a raccontarci cosa abbiamo fatto”.

Carlo Cici, partner&head of sustainability practices, The European House – Ambrosetti ha contestualizzato lo studio dichiarando: “Siamo nella terza era dell’integrazione della sostenibilità del business e le sue criticità possono avere un impatto non sostenibile sulle nostre comunità. Quindi si deve trovare un intermediario nella finanza, che ci dica se un prodotto è sostenibile o meno. Abbiamo cercato con lo studio di guardare alla filiera per produrre sei raccomandazioni che consentano di cogliere il meglio della sostenibilità. L’analisi ci ha permesso di analizzare la prontezza dell’industria italiana. I giovani sono più attenti al prezzo che alla qualità e alla sostenibilità. L’economia circolare è al 3,5% del mercato, ma mancano i dati, non sappiamo esattamente quante sono le emissioni, ci basiamo su stime prudenziali anche sui consumi idrici”.

Come cambierà il concetto di conformità delle aziende

Per le aziende del settore cambierà nel prossimo futuro il concetto di conformità: “La disclosure cambia il loro comportamento: saranno obbligate a fornire un report di sostenibilità e dovranno essere pubblicati Capex e Opex sulla base della finanza sostenibile. L’impatto di 25 direttive europee sui brand e su tutta la filiera sarà enorme. Un altro fattore di pressione deriva dal retail e dalle certificazioni che esistono da 30 anni, ma saranno almeno 100 quelle da adottare e francamente sono troppe. Abbiamo preso i rating di 32 aziende tra le più grandi del settore, riscontrando che sono ancora distanti dai parametri di sostenibilità richiesti, e allora come fa la finanza a scegliere su quale azienda investire? Proprio per questo motivo la tassonomia e la confrontabilità sono necessarie. 

Disclosure

 

Il 35% dei consumatori si dice preoccupato per le tematiche ambientali, ma poi non vuole spendere di più per acquistare prodotti sostenibili. Il 45% delle aziende è molto concentrata sul clima, ma non sembra essere la criticità più importante della moda e, sugli impegni dal punto di vista sociale si scende addirittura al 2-3%, mentre elevato rimane il coinvolgimento dei board.

Consumers

In Italia, la marginalità dei brand è doppia rispetto a quella della filiera e quest’ultima nel lusso è predominante in Italia e Francia.

I questionari somministrati alle aziende dicono che più grande è un’azienda, maggiori sono gli strumenti di rendicontazione adottati. Sostanzialmente, quanto un’azienda fattura rivelerà anche quanto è sostenibile.

Proporzionalità

Le sei proposte per la transizione della moda

Lo studio “Just fashion transition” suggerisce sei proposte affinché la transizione possa avvenire in tempi ragionevoli per le aziende:

  • Anticipare la transizione del mercato per non subirla, adottando delle linee guida e toolkit, senza scordare di aggiornarsi costantemente.
  • I governi nazionali devono costituire delle task force molto agili che possano far convergere finanziamenti pubblici e privati per favorire l’innovazione.
  • Per quanto riguarda le aziende, si devono alleare per creare comunità professionali e superare le barriere al finanziamento dell’innovazione e non sottovalutare l’aspetto sociale.
  • Ciò che non si misura non si conosce: mancano i dati. Ambrosetti consiglia almeno cinque indicatori su cui acquisire dati di sostenibilità.
  • Importante è compiere uno shift culturale così da acquistare sostenibile, utilizzando degli strumenti che catturino i giovani come la musica.
  • Fare della filiera del lusso l’avanguardia della sostenibilità che funge da catalizzatore per investimenti pubblici e privati.

Impatti ambientali, sociali ed economici della filiera della moda

Carlo Carraro vicepresidente dell’Ipcc – Intergovernmental panel on climate change, presidente emerito e professore di Economia ambientale, Università Ca’ Foscari di Venezia, ha illustrato una situazione ad alto rischio: “Le politiche del futuro devono mitigare i rischi ambientali, abbiamo visto che gli ultimi due anni sono stati i più caldi della storia. Le emissioni sono diminuite solo tre volte dal 1990, ma hanno sempre ripreso a crescere. Le ricette le conosciamo: mobilità elettrica ed elettrificazione in generale, efficienza energetica e fonti rinnovabili, nonché il progresso tecnologico che può portare a delle riduzioni di prezzo. I governi si stanno muovendo lentamente, le aziende invece più velocemente, per consapevolezza, necessità e convenienza. Anche se tutte le aziende si impegnassero, comunque l’aumento della temperatura sarebbe di 2,7 gradi, eccedendo i 2 gradi fissati come soglia”.

In Italia, il settore moda è al secondo posto, dopo le utilities, per performance più avanzate in termini di preparazione alla transizione net-zero, con 4,4 punti di media. I meno performanti sono il settore degli alimenti e bevande, servizi e tecnologia. 

Il settore contribuisce al 4% delle emissioni globali, che vanno dimezzate ad una Gigatonnellata.

“Attraverso l’energy mix e la circolarità, si riuscirà a ridurre le emissioni, ma i costi di questa transizione dalle nostre informazioni sono bassi, il tema vero sono gli investimenti. Il grosso del lavoro deve essere fatto a livello di finanza, la Bce ha deciso che tra i requisiti che le banche devono avere in termini di capitali, ci sono quelli dell’impatto sui cambiamenti climatici. Quindi, l’accesso al credito diventerà più difficile per le aziende che non assumeranno un comportamento sostenibile”. 

Azione e innovazione per una moda sostenibile

Federico Marchetti, fondatore di Yoox Net-a-Porter Group, presidente di King Charle’s Fashion taskforce e membro del consiglio di amministrazione di Giorgio Armani, si occupa di sostenibilità dal 2008 e da luglio 2021 ha iniziato la sua avventura con il re Carlo d’Inghilterra incentrato sulla sostenibilità nella moda. 

“Ho applicato i due principi dell’azione e dell’innovazione dato che sono un imprenditore tecnologico”.

Le azioni messe in campo dalla Fahion’s task force del re Carlo d’Inghilterra

“La task force che ho riunito con persone con cui ho lavorato per 22 anni, ha dichiarato Marchetti, sa che la sostenibilità è una necessità di sopravvivenza per i brand della moda: in futuro, sopravviveranno solo quelli green. Le priorità identificate dalla task force sono state due: sbloccare la circolarità attraverso i passaporti digitali, su cui avevo un primo progetto con Yoox e l’iniziativa è stata lanciata al G20 di Roma di ottobre 2021 e, il secondo, lavorare sulla moda rigenerativa. Il brand Chloé lo ha già implementato, può funzionare attraverso la lettura di un QR code del capo o attraverso blockchain, così da ottenere tutte le informazioni su materiali ed emissioni del capo stesso. Quando ho inventato Yoox ho messo il cliente al centro ed ho basato tutto sui dati per fargli compiere una scelta consapevole”.

Il Regenerative Fashion Manifesto

“La seconda priorità è stata il lancio del “Regenerative Fashion Manifesto” insieme a Brunello Cucinelli, grazie a cui stiamo ripristinando i paesaggi degradati dell’Himalaya e dando lavoro alla popolazione locale, recuperando le competenze artigianali tradizionali. Lavorare per la Corona britannica mi fa sentire un pò James Bond che salva il Pianeta!”.

La pratica circolare di Humana People to People Italia

“Dal 1998, grazie alle attività di raccolta, selezione e vendita di abiti usati, sosteniamo programmi di medio-lungo termine nel mondo e progetti socio-ambientali in Italia”, ha affermato Karina Bolin, presidente di Humana People to People Italia.

Parliamo di 131mila tonnellate di abiti raccolti, 802mila tonnellate di CO2 evitate, cinquemila contenitori in giro per l’Italia, dove è presente in cinque regioni con i suoi capannoni, con tutto l’interesse di costituire un textile hub nel prossimo futuro.

Continua Bolin: 100 tonnellate di indumenti raccolti danno lavoro a 25 persone che possiedono le competenze e selezionano il capo a mano, perché la macchina non riesce a leggere il “passaporto digitale”. A volte veniamo snobbati, anche se abbiamo già attivi diversi progetti di sostenibilità e upcycling, come le borse realizzate dalle cinture delle macchine. Noi siamo sostenibili e costiamo poco, per questo ci scelgono, abbiamo 500 negozi in tutta Europa e circa 10 milioni di clienti all’anno”. 

Humana

La sostenibilità deve essere democratica

“La sostenibilità, conclude, deve essere democratica. Il nostro utile, dopo i costi, viene reinvestito in programmi sociali e ambientali. Abbiamo una rete di controllo interno e riusciamo a gestirlo bene in tutti i flussi e abbiamo quasi 20 milioni di clienti in Africa. I nostri progetti conferiscono capacità alle persone che inizialmente non possiedono le competenze; noi dovremmo collaborare con tutte le comunità affinché possano formarsi e rendersi indipendenti”. 

Il re-design come soluzione

A concludere questa sessione Shaway Yeh fondatrice di yehyehyeh, direttore editoriale del gruppo, modern media e pioniera del movimento della moda sostenibile in Asia (VC) che focalizza la sua attività sul re-design, dato che meno dell’1% degli indumenti può essere riciclato a causa del suo design che rende difficile scomporlo, e questo costituisce un problema per tutto il sistema. 

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Dunque, l’industria della moda non ha altra soluzione che riprogettare i capi basandosi sull’economia circolare. 

“La riprogettazione deve partire dalla supply chain, è il primo passo per capire che non è più una catena, ma una rete. Più del 70% delle aziende prevede di accrescere il suo tasso di prossimità alla sede centrale dell’azienda e il 25% circa intende delocalizzare nel Paese della propria sede”. 

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“Fondamentale è anche riprogettare la supply chain umana, come ha fatto il brand cinese Klee Klee che lavora con la minoranza Dulong di tessitori e modernizza l’artigianato tradizionale in Cina. Il design circolare inoltre assicurerà che non ci siano perdite nel sistema che possano arrecare danno alla natura, come utilizzare dei materiali che impoveriscono il suolo o inquinano gli oceani. Come fa ad esempio il brand Oshadi, parte dell’India Regenerative Fashion Collective basato su un’azienda agricola rigenerativa di cotone del Tamil Nadu”. 


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Professionista delle Relazioni Esterne, Comunicazione e Ufficio Stampa, si occupa di energia e sostenibilità con un occhio di riguardo alla moda sostenibile e ai progetti energetici di cooperazione allo sviluppo. Possiede una solida conoscenza del mondo consumerista a tutto tondo, del quale si è occupata negli ultimi anni.