Un importante studio dell’università di Pisa, pubblicato sulla prestigiosa rivista Marine Pollution Bulletin, rivela la scoperta di ben 42 specie aliene nei porti di Olbia, Livorno e Bastia. Si tratta principalmente di crostacei, vermi policheti, molluschi e altri invertebrati.
Nel loro studio, i ricercatori hanno utilizzato il fouling, l’insieme di organismi che vivono nei substrati artificiali sommersi come banchine o chiglie di barche. Contrariamente a quanto si pensava in precedenza, l’area turistica dei grandi porti ha evidenziato una maggiore presenza di specie aliene rispetto a quella commerciale, che è direttamente interessata dai traffici marittimi internazionali.
Bioinvasioni: “Problema ecologico nel Mediterraneo”
Per la prima volta è stato valutato quali delle zone interne alle aree portuali sono più soggette alle bioinvasioni che “rappresentano una delle principali problematiche ecologiche degli ecosistemi marini, specialmente nel Mediterraneo”, spiega nella nota stampa Alberto Castelli, professore ordinario del dipartimento di Biologia dell’ateneo pisano, aggiungendo: “Lo studio degli ambienti portuali riveste un particolare interesse proprio perché si tratta di aree particolarmente suscettibili alle bioinvasioni dove le specie aliene, volontariamente o accidentalmente introdotte dall’uomo, costituiscono un rischio per la biodiversità locale”.
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I ricercatori di Pisa e lo studio del fouling
La ricerca è durata due anni ed ha coinvolto ricercatori e docenti dei dipartimenti di biologia e scienze della terra dell’università di Pisa, con il supporto dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale e della Direction adjointe des ports et aéroports de la collectivité de Corse: “Lo studio del fouling risulta di particolare importanza al fine di comprendere l’identità degli invasori, i loro meccanismi di introduzione e i loro effetti sugli ambienti invasi, in particolare sulla biodiversità originaria”, afferma nella nota il dottorando Jonathan Tempesti.
L’identificazione delle aree portuali che risultano più vulnerabili, e dei fattori ambientali e antropici a esse correlate, rappresentano il punto di partenza per lo sviluppo di efficaci piani di monitoraggio e di prevenzione.
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