L’Italia, su 29 nazioni europee prese in considerazione da Cerved Group, società informatica di elaborazione dei dati, che ha presentato il 13 settembre online la seconda edizione del rapporto “Italia Sostenibile 2022”, si colloca alla quindicesima posizione e al di sotto della media, per via delle negative prestazioni economiche e sociali, ma al contempo, ha un buon livello di sostenibilità ambientale. Sono le regioni del nord-ovest e del nord-est a raggiungere il sesto e settimo posto, prossime ai migliori cinque Paesi monitorati, quali Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Finlandia.
La debolezza economica dell’Italia
L’Italia è debole soprattutto economicamente, a causa del fatto che non registra alcun miglioramento da vent’anni, risultati peggiori dei nostri appartengono solo a Romania, Cipro e Grecia.
Scarsa attrattività degli investimenti e digitalizzazione
Il nostro Paese si caratterizza per essere scarsamente attrattivo per gli investimenti esteri e per la limitata capacità di innovazione: pochi gli investimenti nazionali in ricerca e sviluppo e limitata rimane la digitalizzazione. Una stagnazione che è all’origine di una crescita incerta, di redditi fermi da dieci anni e del basso tasso di occupazione pari al 57%, ben dieci punti sotto la media europea.
Lo studio definisce un indice generale di sostenibilità che integra aspetti economici, sociali e ambientali dei singoli territori.
“Con questo strumento, commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Group, ci proponiamo di aiutare i decisori, le istituzioni e le imprese a ragionare in termini di impatto: occorre misurare il fabbisogno delle comunità per pianificare correttamente gli obiettivi dei progetti pubblici e aziendali. Colpisce, nei confronti internazionali come in quelli tra le province italiane, l’evidente correlazione tra capacità di innovazione del tessuto produttivo e velocità della transizione ecologica. Ciò significa che le grandi questioni del riequilibrio sociale e ambientale non sono separabili dai problemi strutturali che limitano lo sviluppo”.
Anche la sostenibilità sociale è al di sotto della media europea
La sostenibilità sociale, come quella economica, colloca l’Italia al di sotto della media europea, al diciottesimo posto tra i paesi analizzati: il Mezzogiorno è al terzultimo posto davanti solo a Grecia e Romania. I punti deboli sono relativi alla fragilità delle famiglie, di cui più di un quarto è a rischio povertà, alla scarsa capacità di formazione del capitale umano e ad un sistema di sicurezza e giustizia molto poco efficiente.
L’Italia spicca però nell’assistenza sociale e, soprattutto nella sanità, dove si piazza al settimo posto.
L’indice di sostenibilità ambientale delle province italiane
Per quanto riguarda l’indice di sostenibilità ambientale, l’Italia è al nono posto, prima della Francia. Nonostante le regioni del Sud restino indietro, il divario è molto più ridotto in questo caso.
Il nostro Paese è fragile dal punto di vista sismico e idrogeologico, ma vanta indici migliori della media europea in tutte le altre dimensioni analizzate: sono più bassi i livelli di inquinamento e le emissioni di gas serra e, per quanto riguarda i consumi e la riconversione energetica, l’Italia è sostanzialmente in linea con l’Europa. Un quinto dell’energia consumata proviene da fonti rinnovabili e i risultati sono decisamente migliori nel caso delle emissioni industriali: cinque tonnellate per abitante, con una riduzione del 25,4% dal 2011 al 2020, superiore di dieci punti alla media UE.
L’indice di sostenibilità ambientale (livelli di inquinamento, situazione idrogeologica e sismica, gestione delle scorie e dei rifiuti, rischio della transizione energetica nei sistemi produttivi) non ripropone dunque la spaccatura Nord-Sud. In questo caso, Macerata, Bergamo e Monza Brianza sono le tre province migliori, Siracusa, Isernia e Ferrara le peggiori; al Sud le posizioni più alte sono di Enna al quarto posto e Lecce al nono.
La situazione nelle aree metropolitane
Nonostante le aree metropolitane siano penalizzate da elevati livelli di inquinamento, registrano risultati migliori su consumi e riconversione energetica. Milano, Torino, Venezia e Padova sono le province che più frequentemente hanno superato le soglie di inquinamento da PM10, mentre Viterbo, Macerata e Urbino risultano le migliori.
La riconversione energetica
In merito alla riconversione energetica (energia generata da fonti rinnovabili) sono invece i grandi centri a stare nella parte alta della classifica, con Brescia, Torino e Aosta a occupare le prime tre posizioni.
La gestione delle scorie industriali e dei rifiuti urbani
Per quanto riguarda la capacità di gestire scorie industriali e rifiuti urbani, ad emergere sono Treviso, Mantova e Pordenone, mentre in grave difficoltà si trovano Grosseto e grandi città come Palermo, Genova, Catania, Trieste, Venezia, Firenze e Roma, che occupa la 94° posizione.
Ci sono poi delle città che si troveranno a dover fronteggiare elevati costi per la transizione, come Brindisi e Livorno, aree montane come Aosta e Sondrio, economie agroalimentari come Lodi e Siena o caratterizzate dall’industria pesante come Terni.
La mappa della sostenibilità delle province italiane
In base alla mappa della sostenibilità delle province italiane, rimane un ampio divario tra il Nord e il Sud: Milano, Bolzano, Padova, Trento, Treviso e Bergamo sono le province più sostenibili, mentre Siracusa, Vibo Valentia, Agrigento, Reggio Calabria e Crotone chiudono la classifica. La provincia meridionale migliore è Bari, al cinquantunesimo posto su 107.
Le prime province per indice di sostenibilità economica sono tutte al Nord: Milano è in testa, seguita da Bologna e Torino, mentre in coda troviamo Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Sostenibilità sociale ed economica sono fortemente correlate: le prime dieci province, con la sola eccezione di Pisa, sono al Nord, a partire da Milano, Padova e Bolzano; le ultime risultano Crotone, Reggio Calabria e Caserta.
Al Sud famiglie a rischio di esclusione sociale
Al Sud, è più alta la quota di famiglie a rischio di esclusione sociale: se infatti grandi aree urbane come Bari e Napoli, seppur con livelli di sostenibilità medio-bassi possono contare su un sistema produttivo vivace, invece, Calabria, Sicilia e ampie aree di Campania e Puglia mostrano tessuti produttivi deboli e fragilità sociale.
I costi della transizione ecologica per il sistema produttivo italiano
Il rapporto “Italia Sostenibile 2022” analizza il rischio fisico e di transizione, individuando i settori che subiranno i maggiori costi per effettuare gli interventi necessari e dunque avranno bisogno di più risorse. Sono più di un milione e impiegano 3,3 milioni di addetti le aziende a rischio fisico “alto” o “molto alto”, in particolare nelle province appenniniche come L’Aquila, Vibo Valentia e Isernia; cifra che si dimezza se si valuta solo il rischio di frane e alluvioni, più forte invece nel Nord-Est, in Liguria e nel Delta del Po (Ferrara, Bologna e Pisa tra le province più esposte).
Il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione
Sulla base della tassonomia europea, Cerved ha poi definito un sistema che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione, distinguendo quattro classi di rischio: i settori dei combustibili fossili o gli energivori, necessitano di ingenti investimenti per riconvertire la produzione o ristrutturare gli impianti (a rischio transizione alto o molto alto); i settori manifatturieri, come ad esempio il sistema moda, che dovranno fare investimenti meno sostanziosi (a rischio medio); quelli a basso rischio e i settori green, già in linea con i requisiti previsti dalla normativa.
In base a questa classificazione, in Italia sono interessate dal fenomeno 932mila società, con due milioni di addetti, con un rischio di transizione alto e molto alto, che dovranno affrontare notevoli costi per adeguarsi ad un’economia a emissioni zero. Le risorse finanziarie che possono essere mobilitate, pari a 14,8 miliardi di euro su 20,6 totali, è concentrata soprattutto al Nord. Al Sud, invece, area in cui incidono maggiormente le attività a rischio transizione, il potenziale da investire rappresenta solo il 12,8% paria a 2,6 miliardi.
Il ruolo della finanza sostenibile
Nel 2021, l’Italia è stata il quarto Paese europeo per prestiti e obbligazioni green, dopo Francia, Germania e Gran Bretagna e seguita da Spagna, Olanda e Svezia. Soltanto Stati Uniti e Cina hanno superato l’Italia per emissioni cumulate di finanziamenti sostenibili: circa la metà delle emissioni infatti è riconducibile all’Europa, con un incremento dell’89% rispetto al 2020.
Nel mercato italiano, l’emissione di obbligazioni green da parte di entità italiane ha raggiunto un valore cumulato pari a circa 70 miliardi di euro, in larga parte costituiti da green bond e, in particolare da Sustainability-linked bond.
Cresce l’integrazione delle pratiche sostenibili nelle strategie aziendali
Un’analisi delle dichiarazioni non finanziarie di un campione di 150 aziende italiane quotate nei mercati regolamentati evidenzia una crescente integrazione delle pratiche di sostenibilità nelle strategie aziendali: le imprese che forniscono precisi target quantitativi di sostenibilità cresce dal 40% al 54%.
Anche l’analisi degli score Esg (valutazione che Cerved rating agency offre per misurare il livello di sostenibilità in termini ambientali, sociali e di governance delle imprese) mostra uno scenario in lieve miglioramento rispetto al 2019.
Finora, gli investimenti di natura sostenibile hanno coinvolto principalmente le grandi aziende, lasciando alle Pmi solo un ruolo limitato: il 70% dei partecipanti a un’indagine condotta dal Forum per la Finanza Sostenibile ha riportato di non avere ricevuto proposte di prodotti Sri per finanziare le proprie attività, e questo accade perché la finanza sostenibile è ancora poco conosciuta. Le Pmi italiane non misurano le proprie performance Esg e ciò costituisce il maggior limite all’interesse della finanza sostenibile verso il nostro Paese.
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