Rifugiati, come individuare e prevenire i rischi idrici e alimentari

L'analisi per agire dove c'è bisogno a cura della ricercatrice Marta Tuninetti del Politecnico di Torino - DIATI (WatertoFood Lab) e i ricercatori del Laboratory for Coupled Human Water System, diretto dal professor Marc Muller della University of Notre Dame

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Foto di kalhh da Pixabay

Il tema dei rifugiati tocca diversi aspetti della società come la conosciamo oggi. Sia sotto il profilo sociale e umano, ma anche per l’impatto che la crisi climatica in corso ha su un fenomeno più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. Difatti dal 2005 al 2016 i rifugiati a livello globale sono passati da 12,1 a 23,1 milioni.

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A muovere così tante persone in necessità il proliferare di conflitti in atto tra Palestina, Syria, Iraq e Afghanistan in particolare. Queste popolazioni si sono rifugiate spesso in paesi confinanti, situati in zone climatiche aride e semi-aride, e in molti casi caratterizzate da pesanti condizioni di scarsità idrica.

L’analisi per agire dove c’è bisogno

Analizzare quanto queste popolazioni in fuga necessitino di una maggiore risposta alimentare e idrica è diventato oggi possibile grazie a uno studio messo a punto dalla ricercatrice Marta Tuninetti del Politecnico di Torino – DIATI (WatertoFood Lab) e i ricercatori del Laboratory for Coupled Human Water System, diretto dal professor Marc Muller della University of Notre Dame.

Si tratta di un’analisi innovativa che quantifica le implicazioni dei flussi migratori per le risorse idriche e le possibili soluzioni per preservarle con dati oggettivi.

Lo studio è stato pubblicato ieri 23 maggio da Nature Communications – DOI 10.1038/s41467-023-38117-0. Dai dati emerge come l’aumento della domanda di acqua – pari a 31 km3 nel 2016 – si è concentrato principalmente in alcuni Paesi tra cui Pakistan, Iran, Turchia, Libano e Giordania.

Si tratta di aree geografiche caratterizzate da livelli di scarsità d’acqua simili a quelli dei paesi di provenienza dei rifugiati.

Gli effetti dello stress idrico per i molti rifugiati ospitati nelle aree a rischio

Nel complesso si tratta di uno stress idrico associato all’aumento del consumo di cibo che ha profonde implicazioni soltanto in alcuni Paesi.  Si tratta di aree geografiche che spesso fanno affidamento solo su sistemi alimentari principalmente locali e poco dipendenti dal commercio internazionale. Ad esempio in Giordania lo stress idrico è aumentato dal 45 al 75%.

“Sebbene le implicazioni appaiano minime nella maggior parte dei Paesi – spiega Marta Tuninettiil nostro studio suggerisce che esse possono dimostrarsi gravi nei Paesi che stanno già affrontando un elevato stress idrico o dove lo stress aumenterà in relazione agli effetti del cambiamento climatico. Questi paesi devono essere monitorati con particolare attenzione poiché tendono attualmente a fare affidamento prevalentemente sulle risorse idriche locali per la produzione alimentare. Il commercio globale potrebbe diventare in questo caso uno strumento per alleviare il potenziale stress idrico a cui alcuni Paesi sono sottoposti quando sono oggetto di importanti flussi di rifugiati e ridurre al tempo stesso la vulnerabilità dei sistemi alimentari locali a crisi idriche.

I risultati mostrati nello studio forniscono un quadro chiaro ed esaustivo delle attuali implicazioni della migrazione dei rifugiati per le risorse idriche e offrono un supporto quantitativo in grado di orientare ed ottimizzare le politiche di asilo e reinsediamento dei rifugiati sviluppate da UNHCR (UN Refugee Agency).

La fame come strategia di guerra

D’altronde come ricorda Azione contro la fame, le guerre e i conflitti armati rappresentano la causa principale di scarsità alimentare. Nel rapporto No matter who’s fighting, in war hunger always wins, si ricorda come ridurre l’impatto dei conflitti sulla sicurezza alimentare può anche contribuire a una pace sostenibile.

Il rapporto evidenzia inoltre come:

  • tra il 2018 e il 2021 si è registrato un aumento dell’80% del numero di persone che soffrono di insicurezza alimentare e malnutrizione nei Paesi colpiti da conflitti;
  • nel 2022 questo numero è leggermente diminuito, mentre il numero di persone che soffrono la fame a causa di shock economici, come l’inflazione dei prezzi dei generi alimentari e la svalutazione, è aumentato

 


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