Aumentare l’efficienza energetica delle tradizionali celle fotovoltaiche attraverso la conversione della luce del sole a banda larga in una radiazione termica a banda stretta. È il risultato che sono riusciti a ottenere i ricercatori del MIT i quali hanno sintetizzato nel documento intitolato “Enhanced photovoltaic energy conversion using thermally based spectral shaping” le potenzialità legate a questa scoperta.
Ma più in dettaglio come hanno operato i ricercatori? La procedura sperimentale si è basata sull’analisi della capacità di assorbimento dei nanotubi di carbonio (CNT), una delle forme allotropiche del carbonio, che sono stati integrati con un emettitore selettivo di fotoni di cristallo unidimensionale e un filtro ottico tandem plasma a interferenza. In questo modo si è riusciti a ridurre la quantità di fotoni non convertibili di una percentuale pari all’80% registrando un tasso di conversione elettrica superiore a quello ottenuto unicamente con la celle fotovoltaica.
Ma l’efficienza del dispositivo non si traduce solo in una maggiore performatività del tasso di conversione elettrica. Dai dati emerge, infatti, che a subire una riduzione sarebbero anche i tassi di emissione di calore nelle celle fotovoltaiche, in discesa di un fattore pari a 2 per un dato valore di densità di potenza in uscita.
In generale questa tecnologia aprirebbe, secondo i ricercatori, la strada verso il possibile superamento dei limiti legati alle celle solari tradizionali grazie alla possibilità di non dissipare come calore l’energia inutilizzata. Questi dispositivi termofotovoltaici sono, infatti, in grado di assorbire tutta questa energia tramite un componente intermedio, il nanotubo di carbonio appunto, non dissipandola.
Le ipotesi a livello di applicazione di questa soluzione sono molteplici: si va dalla realizzazione di sistemi solari a concentrazione convenzionale con lenti a specchi per indirizzare la luce solare all’abbinamento con un sistema di accumulo.
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