Del regolamento Ue sulle emissioni di metano, Canale Energia aveva scritto in occasione del Forum UNI-CIG tenutosi a Bologna lo scorso 3 ottobre.
In quell’occasione si erano lasciate fuori dal discorso le emissioni di metano che avvengono fuori i confini dell’Unione e che pure rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento. Questi obblighi di comunicazione ricadono su chi in Europa fa entrare metano importato e quindi, implicitamente, anche le emissioni prodotte altrove. Importatori che non coincidono necessariamente con industrie produttrici o detentrici di asset, ma il cui ruolo è fondamentale ai fini delle informazioni sui metodi di produzione adottati nei paesi fornitori. Come? Tramite contratti di fornitura dei prodotti contemplati dal Regolamento: gas naturale, petrolio greggio, carbone.
Qui si apre tutto un altro capitolo tra gli obblighi imponibili sul territorio dell’UE e quelli che sfociano sul terreno della extraterritorialità giuridica. In altri termini, come fare per gestire la raccolta dati sulle emissioni di metano nell’ambito di contratti tra privati e, al contempo, fare in modo che lo Stato fornitore abbia in piedi un quadro normativo equivalente a quello dell’Unione in materia di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni.
In effetti, il Regolamento UE sul metano è il primo al mondo a disciplinare le emissioni provenienti dalle importazioni. Prevede che gli importatori nell’UE, a partire dall’anno prossimo, comunichino annualmente i dati sulle emissioni di metano provenienti dai Paesi e dalle società esportatrici, compresi i dettagli su come vengono misurate, mitigate e rendicontate le emissioni CH4.
Gli obblighi si estendono ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore del Regolamento: già dal 2027, gli importatori dovranno dimostrare che i combustibili fossili provengono da produttori soggetti a schemi di Monitoraggio, Rendicontazione e Verifica (MRV) delle emissioni equivalenti ai requisiti del Regolamento. Inoltre, a partire dal 2028, gli importatori dovranno comunicare un ulteriore parametro: l’intensità del metano emesso durante la produzione di petrolio, gas e carbone importati nell’Unione, secondo una metodologia che sarà stabilita dalla Commissione tramite un atto delegato.
Sembra tutto molto complicato. E infatti lo è. C’è da dire, però, che i parametri di riferimento per bilanciare i requisiti MRV tra operatori europei e fornitori fuori della UE sono assicurati da un protocollo volontario delle Nazioni Unite, l’OGMP 2.0, unico quadro di riferimento per l’industria Oil & Gas in fatto di rendicontazione sulle emissioni di metano. L’auspicio è che un crescente numero di operatori globali aderisca allo schema, proprio per agevolare lo scambio di informazioni e ottemperare agli standard internazionali.
La Direzione Generale per l’Energia (DG ENER), nel workshop online “Import requirements of the EU Methane Regulation” organizzato il 15 ottobre, ha riunito rappresentanti della Commissione UE e le parti interessate per discutere sui requisiti di importazione del Regolamento. Al centro della discussione, da un lato domande che ancora aspettano risposte e, dall’altro, un approccio graduale che, per dare risposte, prevede atti delegati ancora da venire.
La filiera del gas, soprattutto
Il dibattito, in realtà, si concentra solo su uno dei combustibili fossili oggetto del regolamento: il gas naturale. Le parti interessate sono gli stakeholder della filiera gas e la discussione ruota attorno alla commodity che in Europa rappresenta ancora il modello dominante.
Andreas Guth, segretario generale di Eurogas, parla a nome dell’intera catena di valore del gas in Europa. Un’associazione di categoria che vanta 105 membri in 28 paesi e che ha tutto l’interesse a proteggere i propri associati da eventuali inadempienze dovute a errate interpretazioni. E’ su questo che si basa tutto il suo intervento.
In generale, Eurogas ritiene che la difficoltà principale non risiede nel livello di ambizione del Regolamento, ma in certi vincoli pratici che possono ostacolare l’adempimento stesso degli obblighi. Tanto più che il Regolamento entra in vigore in un momento in cui l’Europa ha bisogno di diversificare le forniture di gas naturale, il che implica nuovi contratti. E senza chiarezza, gli adempimenti contrattuali e normativi non hanno vita facile.
Guth parte dall’inizio, dalla definizione stessa di cosa si intende con il termine di produzione. Perché? E’ previsto che, a partire dal 2025, gli importatori europei forniscano alle Autorità Competenti dello Stato membro in cui risiedono i dati relativi al produttore del gas importato, e che indichino se questo produttore aderisce o meno a tecniche di monitoraggio e mitigazione. Quindi il segmento contemplato per comunicare le emissioni CH4 è quello della produzione.
“Chi è effettivamente il produttore? Quale sia il livello di produzione non è del tutto chiaro. Qual è l’inizio e quale la fine di questo concetto? Si tratta solo della produzione di gas naturale, o si include il trattamento, la raccolta o il boosting del gas. Siamo a circa un anno dal dialogo finale sul Regolamento e queste domande non sono ancora state chiarite”, lamenta il segretario generale di Eurogas.
L’Associazione preme inoltre per accelerare i tempi sulle metodologie da usare per l’intensità del metano: entro il 5 agosto 2028, infatti, per i contratti firmati dopo l’entrata in vigore del Regolamento, gli importatori dovranno comunicare alle rispettive Autorità Competenti l’intensità di metano nella fase di produzione del gas da loro stessi immesso nel mercato Ue, una metodologia che sarà stabilita con atto delegato della Commissione entro il 5 agosto 2027.
Gli stessi motivi riguardano anche la necessità di avere parametri chiari sull’equivalenza di metodologie MRV, sia a livello di produttore che a livello di paese, entro le date stabilite. In altre parole, l’importatore dovrà dimostrare che il gas importato è soggetto a tecniche MRV simili a quelle previste in UE. Saranno gli Stati membri a determinare individualmente questi parametri di equivalenza. Quindi, si corre il rischio di avere 27 interpretazioni diverse. Altro elemento di incertezza per Eurogas.
“Abbiamo bisogno di regole da parte della Commissione Europea sui requisiti e sulle procedure per stabilire l’equivalenza a livello di paese. Tutto questo sarà disponibile entro il 1° gennaio 2027, quando scatterà l’obbligo? Anche ammesso che ci si riesca, è importante sottolineare che i contratti vengono negoziati oggi, in questo vuoto giuridico. Operiamo in un ambiente dove è necessario anticipare regole future del tutto sconosciute. E questo fa sì che questi negoziati siano davvero impegnativi”, conclude Guth.
Insomma, i rappresentanti dell’industria fanno le loro rimostranze senza troppo tergiversare. Ma questo non sorprende. Anche durante l’iter legislativo che ha portato alla pubblicazione del Regolamento, questi aspetti avevano avuto un ruolo centrale nelle discussioni. Solo che adesso la pressione sulle tempistiche è reale.
Metano importato, una legge “quasi” uguale per tutti
Dal canto suo, il DG Energia concorda sulla necessità della certezza giuridica e sull’importanza di cooperare con i Paesi terzi per facilitare la conformità con i requisiti del Regolamento. Le informazioni devono essere fornite come parte del contratto, poiché l’ottica del legislatore è quella di ottenere dati sul tipo di energia che viene immessa in UE e su ciò che accade a livello di produzione. Ma l’incombenza è spostata altrove: a parte l’atto delegato della Commissione per definire la metodologia di calcolo dell’intensità emissiva, molti requisiti saranno stabiliti a livello di Stati membri dalle rispettive Autorità Competenti, compresi gli schemi di conformità e gli accordi bilaterali sull’equivalenza di requisiti a livello di paese.
La questione su quale sistema di conformità sia quello giusto resta aperta all’interpretazione ed è demandata alle decisioni degli Stati membri dopo l’istituzione delle Autorità Competenti e la presentazione alla Commissione dei vari piani di attuazione.
“Una delle leve più importanti del Regolamento è quella di consentire alla catena di approvvigionamento di trasmettere le informazioni dal sito di produzione all’importatore. E noi supponiamo che questo sia fattibile. Certamente, abbiamo sentito dall’industria che sarà difficile in diversi Paesi, e questo lo capiamo. Ma penso che non ci sia nulla, nei requisiti di importazione, che non sia impegnativo, semplicemente perché è la prima volta che qualcuno cerca di fare una cosa del genere”, spiega Malcom McDowell, capogruppo regolamento sul metano, Commissione europea.
E allora come si fa?
Il Regolamento UE sul metano prevede un approccio graduale agli obblighi di importazione, con una prima fase concentrata sulla raccolta dati del produttore. Anche su questo gli importatori potrebbero avere serie difficoltà nell’individuare i produttori. In alcuni casi, il sito di produzione di gas naturale o di GNL potrebbe semplicemente non essere noto. Ad esempio, nei casi in cui il gas o il GNL vengono acquistati presso hub internazionali come Henry Hub o NBP. Oppure i casi in cui il gas è trasportato presso impianti di lavorazione attraverso condotte multi-stream, o ancora nei casi di trasbordo del gas da nave a nave.
Alcuni spunti di riflessione vengono proposti da Maria Olczak, ricercatrice presso l’Oxford Institute for Energy Studies, che ha condotto una ricerca basata su interviste agli operatori interessati. Stando al Regolamento, gli importatori devono identificare i produttori, ottenere stime sul metano e rendere i dati disponibili al pubblico.
Ma le sfide principali riguardano proprio la riservatezza sui dati coperti dalla confidenzialità dei contratti, la mancanza di informazioni sull’origine e la difficoltà di identificare i produttori. Soluzioni potenziali potrebbero comprendere l’utilizzo di dati disaggregati, oppure stime regionali, o ancora modelli di valutazione sul ciclo di vita e l’uso di fattori di correzione.
“Paragonare filiere complesse in base alla loro intensità emissiva pone sfide significative, poiché non è mai stato fatto in modo trasparente prima d’ora. Esiste la possibilità di allineare gli standard di importazione dell’UE alle realtà commerciali del mercato attraverso gli atti delegati. In alcuni casi, si potrebbe ricorrere a un approccio per tentativi ed errori. Ad esempio, le imprese non dovrebbero essere penalizzate per aver intrapreso questi sforzi, ma alla fine queste pratiche dovranno comunque essere standardizzate”, conclude Olczak.
Brandon Locke, policy manager della Clean Air Task Force, ONG americana da anni impegnata sul fronte delle emissioni di metano, avanza una proposta innovativa rispetto all’individuazione del produttore. Locke sottolinea l’importanza di tracciare i dati lungo la catena di approvvigionamento, in modo da dimostrare il raggiungimento di target ambientali e al contempo creare fiducia sulla qualità dati forniti. Il tutto attraverso un sistema digitale di tracciamento e un registro centrale.
Come funziona? Un sistema per tracciare le emissioni sui mercati globali del gas richiede un approccio ibrido. “Un approccio di tipo trace-and-claim”, sostiene Locke, “non cerca di tracciare le molecole di metano ma di “seguire il denaro” attraverso il percorso commerciale dei volumi”. In pratica, questo metodo consentirebbe all’acquirente di dimostrare il legame con il produttore attraverso accordi di vendita e acquisto e l’utilizzo di un passaporto digitale, in cui il volume originario proviene da un sito codificato.
Un sistema già utilizzato negli Stati Uniti e che sembra funzionare. Ma l’Europa non è l’America e, per quanto questo approccio sembri interessante, rimane il fatto di dover “convincere” paesi fornitori e partner commerciali sulla bontà del sistema. L’Europa è il maggior importatore di combustibili fossili al mondo. Altra storia per gli Stati Uniti.
Insomma, un labirinto intricatissimo che implica ancora tanto lavoro da parte di tutti. Molto è demandato alle scelte degli Stati membri, ma il rischio è quello di una mancanza di coerenza tra i 27.
Rischi e incertezze sembrano far parte dello scenario. In teoria, l’UE non avrebbe molto da fare: l’onere ricadrebbe sui partner dell’Unione, che si presume abbiano interesse a un quadro di mutua collaborazione. Certo è che finora questi partner non sono stati coinvolti negli incontri a livello UE. Ed è forse giunto il momento di farlo.
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