Lanciato lo scorso gennaio, il Programma di Ricerca RAMET, della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), ha giovane vita e molto intensa. L’evento del 18 novembre è stato organizzato nei locali di Corso Magenta a Milano, in collaborazione con l’Osservatorio Italiano Materie Prime Critiche (OIMCE).
L’incontro ha catalizzato rappresentanti della comunità scientifica e istituzionale, che hanno condiviso ricerche e opinioni sul ruolo e le sfide future di questo settore chiave per la transizione energetica. Tra i relatori, gli analisti di International Energy Agency (IEA), Banca d’Italia, London Stock Exchange, Gran Sasso Science Institute, Vrije Universiteit Amsterdam, FEEM.
Con l’aumento della domanda di minerali critici, miniere e impianti di lavorazione eserciteranno una pressione crescente su persone e ambiente. Del resto, il successo della transizione energetica passa per la diffusione di tecnologie pulite, la cui produzione e lavorazione crea dipendenza da alcuni materiali non facilmente reperibili, definiti appunto critici (CRM). Il tema della disponibilità di approvvigionamento di questi materiali diventa una questione geopolitica, oltre che di mercato, e resta al centro del percorso di decarbonizzazione.
Allo stesso tempo, è fondamentale aumentare l’offerta di questi materiali attraverso attività estrattive, pur mantenendo la bussola sul rispetto degli standard ambientali e sociali lungo tutta la catena di approvvigionamento. Tanto che si comincia a parlare di digital product passport come soluzione per valutare la tracciabilità e sostenibilità dei materiali critici, importati e non.
Infine, un elemento citato a più riprese durante il workshop è stato il recupero: la reperibilità di questi materiali passa anche e soprattutto attraverso il riciclo.
Al centro dell’incontro, la tavola rotonda sui temi salienti del Critical Raw Materials Act (CRMA) e le sue ricadute. Ne hanno parlato Nunzia Bernardo, Segreteria Tecnica MASE, Giuseppe Montesano, Osservatorio Italiano Materie Prime Critiche Energia (OIMCE), Éric Buisson, International Energy Agency.
Tra i principali elementi del dibattito, una sostanziale carenza sulla qualità dei dati; l’incertezza normativa, anche legata alla seconda Amministrazione Trump; l’importanza di innovare la catena del valore; le sfide sull’implementazione del CRMA; la necessità di attivare partnership strategiche con Paesi terzi.
Trasparenza dei dati un elemento cruciale
Uno dei punti emersi con forza dalla discussione è stata la mancata disponibilità e trasparenza di dati quantitativi e qualitativi sulle materie prime critiche. Ad esempio, è stato sottolineato che per costruire modelli macroeconomici sono necessari dati sui consumi. E i dati sui consumi non sono disponibili con una frequenza adeguata. In generale, si tratta di una mancanza sostanziale di dati granulari, necessari su diversi piani: stime di mercato, previsioni sulle interruzioni di approvvigionamento, valutazione dei consumi, rotte di importazione, standard produttivi, volumi di scambio e volatilità dei prezzi. Sono state richiamate motivazioni spesso legate alla confidenzialità e segretezza dei dati industriali.
“Alla IEA, utilizziamo molte fonti pubbliche, ma cerchiamo anche di dialogare con l’industria. Quindi, alcuni dei dati che pubblichiamo provengono anche da fonti commerciali e dal dialogo con l’industria. Poi cerchiamo di conciliare i dati raccolti. All’inizio dell’anno abbiamo provato a costruire modelli di offerta. Si tratta di modelli di approvvigionamento costruiti progetto per progetto. Abbiamo messo a disposizione del pubblico quanti più dati possibili, ideando uno strumento online chiamato Critical Minerals Data Explorer”, spiega Eric Buisson della IEA circa le azioni intraprese per migliorare la trasparenza dei dati.
Lo strumento fornisce risultati basati su diversi scenari energetici. Gli utenti possono consultare la domanda e l’offerta globale di alcuni minerali (rame, cobalto, litio, nichel, grafite, terre rare). E’ poi possibile consultare la domanda dei vari minerali, prevista in base a diversi scenari tecnologici.
Si tratta comunque di dati aggregati, in modo da dare un’idea del panorama generale e di come potrebbe essere la situazione in uno scenario base, ma ci sono una serie di sfide, non ultima quella dei codici commerciali, che non sempre sono aggiornati alle nuove realtà economiche.
La loro funzione è quella di istituire una nomenclatura universale e condivisa. I codici HS (Harmonized System) permettono di catalogare le tipologie di merci ai fini della tracciabilità. Ma uno degli ostacoli tipici è che non sempre questi codici sono disponibili. Ad esempio, uno dei maggiori produttori di Litio a livello mondiale come l’Australia non ha ancora un codice per il Litio, il che rende difficile recuperare dati commerciali. “Ma crediamo che la situazione possa essere migliorata”, conclude il portavoce della IEA.
Le prospettive del riciclo
Il riciclo è uno dei pilastri del Critical Raw Materials Act. L’UE fissa un parametro del 25% annuale entro il 2030. Se da un lato le attività di recupero non eliminano la necessità di investimenti minerari, dall’altro creano un’importante fonte secondaria ai fini della sicurezza di approvvigionamento per i Paesi importatori. Potenziare le attività di riciclo non solo mitiga gli impatti ambientali e sociali legati alle attività di estrazione e trattamento, ma può anche ridurre la necessità di nuove attività estrattive del 25-40% entro il 2050.
E’ di pochi giorni fa la pubblicazione del Rapporto Speciale IEA, Recycling of Critical Minerals, uno studio dedicato alle strategie per incrementare il riciclo e l’estrazione urbana. Sul recupero, però, si era espresso già a luglio anche il nostro OIMCE, con un contributo intitolato Recupero e riciclo delle materie prime critiche per l’energia.
Una delle prime attività dell’Osservatorio è stata quella di creare un gruppo di lavoro sul riciclo dei CRM, con l’obiettivo di mappare il potenziale nazionale per identificare le aree correlate alla raccolta dei rifiuti con potenziale di recupero per le materie prime critiche.
I temi affrontati dal gruppo di lavoro riguardano cinque settori: fonti di riciclo, tecnologie, impianti, sostenibilità economica, cenni sulle attività minerarie. Rispetto alle fonti di recupero, sono stati analizzati scenari relativi ai RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), catalizzatori esausti e batterie, pannelli fotovoltaici e aerogeneratori. Ma come si colloca l’Italia rispetto al target del 25% stabilito dall’UE?
“Sul riciclo dei RAEE – e stiamo parlando di un insieme molto diversificato di apparecchiature – abbiamo riscontrato che in generale, ad eccezione del rame, il potenziale di recupero di materie prime critiche da queste apparecchiature è in realtà relativamente limitato, anche in relazione al costo dei processi necessari per recuperarle”, spiega Giuseppe Montesano, OIMCE.
Escludendo il rame, il contenuto di metalli critici nei RAEE è molto basso, tanto da giustificarne con difficoltà il recupero. Se ci si basa sui dati di ERION, il principale sistema di raccolta in Italia, la produzione di CRM sull’attuale raccolta di RAEE domestici sarebbe di circa 7.000 tonnellate a fronte di un fabbisogno annuo nazionale di oltre 600.000 tonnellate.
“Rispetto al recupero da catalizzatori, batterie e pannelli fotovoltaici, invece, le prospettive sembrano più promettenti. Per quanto riguarda poi le batterie, soprattutto in relazione alle politiche dell’UE su eventuali limiti alle importazioni, pensiamo che questo potrebbe in effetti facilitare la costruzione di impianti di produzione in Europa per recuperare direttamente i metalli necessari”, aggiunge Montesano durante la tavola rotonda.
Alla ricerca del tempo perduto
“L’attuazione del Regolamento sulle Materie Prime Critiche è molto impegnativa a livello di stati membri perché, come sappiamo, le politiche normative sulle materie prime sono ferme a 40 anni fa. E quindi dobbiamo recuperare”, ha esordito Nunzia Bernardo, segreteria tecnica del MASE.
Almeno in Italia è questo ciò che accade. Basti pensare che, per quanto riguarda la normativa sulle attività minerarie, il nostro Paese fa ancora riferimento a un Regio Decreto del 1927. Un “romantico anacronismo” che dovrà essere affrontato. La sfida è grande, tanto più che la legge era stata creata in un clima totalmente diverso, con esigenze diverse e diverse situazioni ambientali e industriali.
Quindi il mantra è innovazione. Innovazione di tutta la catena del valore, da monte a valle. Poiché rappresenta la chiave per rendere la filiera più sicura e sostenibile, e soprattutto in linea con le nuove esigenze ambientali e sociali.
Un altro elemento sottolineato dalla portavoce del MASE, è la necessità di attivare partnership strategiche con i paesi terzi fornitori ai fini della sensibilizzazione su temi legati ai diritti umani e alla protezione dell’ambiente. In questo senso, diventa importante il controllo sull’intera catena del valore, anche tramite strumenti di tracciabilità come il passaporto digitale del prodotto, un tema che emerge sempre più spesso nei dibattiti pubblici. “Altrimenti manca qualcosa. E non possiamo permetterci di lasciare indietro niente e nessuno”, conclude Nunzia Bernardo.
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