La crisi climatica non salva le rinnovabili vittime del Nimby

Come la mediazione ambientale può sostenere la transizione ecologica sul territorio

  • Nonostante la crisi climatica evidente gli impianti energia rinnovabile sono facilmente vittima di effetto Nimby (Not in my back yard)
  • Il ruolo della mediazione ambientale e gli strumenti messi a disposizione per risolvere questo tipo di controversie

Nimby

La transizione ecologica non è rappresenta solo un indirizzo politico e una scelta tecnologica ma anche un passaggio culturale che tocca nel profondo la nostra realtà di cittadini. Allora perchè in un momento storico in cui l’ambiente è al centro delle cronache ci sono ancora tanti impianti di rinnovabili vittime del Nimby?
Ne abbiamo parlato con
Francesco Cruz Torres, ingegnere con specializzazione in campo energetico e attualmente Dottorando presso dipartimento di Energia, Politecnico di Milano.

Francesco Cruz Torres, ingegnere con specializzazione in campo energetico e attualmente Dottorando presso dipartimento di Energia, Politecnico di Milano.
Francesco Cruz Torres, ingegnere con specializzazione in campo energetico e attualmente Dottorando presso dipartimento di Energia, Politecnico di Milano.

“In Italia vi è una difficoltà significativa a installare impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili. Per rendersene conto conviene osservare la differenza tra da un lato, i tempi massimi previsti dalla normativa italiana per il rilascio di autorizzazioni alla costruzione e dall’altro, il tempo medio effettivo del rilascio di tali autorizzazioni da parte dell’amministrazione. Ad esempio, per l’eolico il tempo massimo previsto dalla normativa è di circa due anni, mentre il tempo medio effettivo per ottenere l’autorizzazione è più del doppio. Tale tempistica sale a circa il triplo per gli impianti di grande scala.

Cosa può rendere difficile l’autorizzazione degli impianti?

La struttura dell’iter autorizzativo può risultare complicata per le amministrazioni locali, considerate le loro risorse. Inoltre, la realizzazione degli impianti causa conflitti nel territorio. Ad esempio, installare un parco eolico o solare spesso è visto in contrasto con la tutela del paesaggio.

Quali sono le motivazioni ostative maggiori?

Le ragioni della lentezza dell’iter autorizzativo non sono unicamente da ricercarsi nella burocrazia, ma anche nell’opposizione del territorio alla realizzazione degli impianti. L’associazionismo locale e l’amministrazione pubblica sono a volte contrari alla realizzazione di tali opere per il danno che esse potrebbero provocare all’ambiente, al paesaggio, al turismo e all’economia locale. Essi difficilmente riescono a fare propri gli obiettivi politici di decarbonizzazione e tantomeno gli obiettivi di business delle imprese. In Italia, a differenza di altri paesi, la motivazione più ricorrente all’opposizione consiste nella difesa del paesaggio. A riguardo, trovo emblematica l’affermazione del ministro Cingolani in una recente intervista a Radio24, che commentando l’installazione dei nuovi impianti ha affermato: “Bisogna capire quale è la priorità. La priorità è l’emergenza energetica, la tenuta del paese industriale e dei cittadini o il paesaggio? (…) ci troviamo di fronte a no di principio su quasi tutti gli impianti da parte delle sovraintendenze paesaggistiche.”

E quali sono gli impianti di rinnovabili vittime del nimby, c’è una categoria più osteggiata di altre? 

È difficile stabilire una classifica degli impianti più osteggiati, tanto più che questa classifica potrebbe facilmente variare a seconda dei criteri utilizzati per redigerla. È invece interessante considerare gli interessi delle opposizioni. L’utilizzo del suolo per attività localmente rilevanti è frequente motivo di opposizione. Quando il territorio oggetto di studio è già utilizzato, ad esempio per l’agricoltura o il turismo, la popolazione locale potrebbe rifiutarsi di cambiarne l’utilizzo. Ad esempio, se venisse richiesto al territorio di sacrificare i propri prodotti agricoli venduti localmente per costruire un impianto fotovoltaico e alimentare la rete elettrica nazionale, non sarebbe difficile trovare opposizioni. Nel caso dell’idroelettrico, spesso l’opposizione si fonda sulla protezione dell’ecosistema fluviale, che potrebbe deteriorarsi a causa dell’interruzione del flusso naturale d’acqua. Per quanto riguarda l’eolico, invece, vi sono opposizioni fondate sulla protezione di specie protette di volatili, specialmente se gli impianti si trovano sulle rotte migratorie di tali specie.

Sta crescendo l’uso della mediazione per superare queste situazioni?

La mediazione ambientale è uno strumento ancora poco utilizzato, credo perché ancora poco conosciuto nel campo energetico. Tipicamente i conflitti sono affrontati con processi giudiziari. Tuttavia esistono alternative come la mediazione ambientale, offerta da enti competenti come la Camera Arbitrale di Milano.

La mediazione permette di far emergere i reali interessi delle parti: quelli del territorio, delle imprese e del Paese. Attraverso un dialogo condotto da un mediatore esperto, si identificano gli interessi in comune, quelli in contrasto e lo spazio per un possibile accordo. Tutto questo non è altrettanto facilmente ottenibile in un processo giudiziario, dove le proposte di mediazione rimangono in secondo piano.

Per gli impianti energetici, in sede di rilascio dell’autorizzazione alla costruzione, sono definite delle “misure di compensazione”. Tali misure potrebbero essere sfruttate in maniera creativa dalle parti, in sede di mediazione o negoziazione, per formulare nuove proposte di progetto che tengano conto degli interessi in gioco. Ad esempio, nel caso di un impianto fotovoltaico che minacciasse di chiudere la produzione agricola locale, si potrebbero contemplare soluzioni di agrivoltaico che mantengano alcuni prodotti agricoli considerati irrinunciabili. Oppure, si potrebbe esplorare l’interesse del territorio per una fornitura di energia a costo vantaggioso direttamente dall’impianto proposto.

Considerando le necessità energetiche del paese anche a seguito dei recenti eventi geopolitici, la mediazione ambientale potrebbe essere molto utile. Tale strumento permetterebbe di velocizzare la transizione energetica, e favorirebbe l’ascolto e la soddisfazione delle varie parti in causa.


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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.