Secondo l’indagine dell’unità investigativa di Greenpeace Italia la maggior parte dei rifiuti organici nel nostro Paese “finisce in impianti che non sono in grado di trattare efficacemente i materiali in plastica compostabile, che così finiscono in inceneritori o in discarica, in barba alla presunta sostenibilità”, si legge nel report. L’associazione ambientalista riporta che i prodotti monouso in bioplastica come piatti, posate e imballaggi rigidi, devono essere smaltiti insieme agli scarti alimentari: “Tuttavia, stando ai dati del catasto rifiuti di Ispra, il 63% della frazione organica è inviata in impianti che difficilmente riescono a degradare le plastiche compostabili”, si afferma.

Greenpeace: “Bioplastica in discarica o incenerimento”

Una situazione che sarebbe conseguenza dell’impiantistica “non sempre adeguata ma anche dell’evidente scollamento tra le certificazioni sulla compostabilità e le reali condizioni presenti negli impianti”, viene sottolineato nel report. Sono queste alcune delle criticità elencate a Greenpeace da numerosi imprenditori del settore e dal personale tecnico dei laboratori intervistati.

“I risultati dell’inchiesta gettano ancora più dubbi sull’operato dell’Italia che da anni incentiva la sostituzione delle plastiche fossili con quelle compostabili, lasciando inalterata la logica del monouso i cui impatti risultano sempre più devastanti”, mette in evidenza l’associazione ambientalista.

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Assobioplastiche e Biorepack rispondono

Assobioplastiche e Biorepack hanno risposto con un comunicato pubblicato su alcuni quotidiani nazionali, secondo cui le affermazioni di Greenpeace sono “frutto di un’indagine parziale e superficiale che mette sul banco degli imputati le bioplastiche compostabili, sfruttando le dichiarazioni di alcuni accademici e operatori del riciclo”.

L’associazione dei produttori di biopolimeri e il consorzio per il loro riciclo riaffermano la validità delle certificazioni su biodegradabilità e compostabilità e rilanciano: “Il miglioramento dei sistemi è sempre frutto di un confronto, ma Greenpeace Italia ha preferito usare argomenti artificiosamente infondati e parziali che puntano a distruggere un’innovazione pensata per migliorare l’ambiente e per questo accolta positivamente dalla maggioranza degli ambientalisti italiani”, si legge nel comunicato.

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La controreplica di Greenpeace: incentivi bioplastica e Sup

Da quanto emerge dall’inchiesta dell’associazione ambientalista, “gli shopper non rientrano tra i manufatti con problemi di degradazione negli impianti”, si legge nella nota stampa dove si aggiunge “problematica che, in base alle testimonianze raccolte, interessa i manufatti e imballaggi rigidi”.

L’organizzazione ambientalista, nella nota di controreplica, riconosce la bontà della legge sugli shoppers, “proprio perché non prevede la sostituzione uno a uno”. Al contrario, con le deroghe ed esenzioni inserite nel recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso (Sup) per i prodotti messi al bando (stovigliame), Greenpeace ravvisa “un concreto rischio derivante dalla semplice e massiva sostituzione dei materiali. Si tratta delle stesse perplessità condivise dall’Europa nel parere circostanziato inviato al nostro governo nei mesi scorsi e che espone l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione”, afferma la nota.

Assobioplastiche e Biorepack nel comunicato avevano già sottolineato che “nessun attore della filiera delle bioplastiche in Italia ha mai promosso la sostituzione 1 a 1 della plastica monouso con la bioplastica monouso, piuttosto si sono promossi quei prodotti (sacchetti, stoviglie, imballaggi alimentari etc.) pensati come specifiche soluzioni ai problemi cagionati dalla presenza nell’umido di materiali non compostabili”.

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