Non agire contro la crisi climatica costa fino al 15% del Pil globale al 2100, eppure si registrano in ogni nazione freni ad agire. I fattori che provocano questo mare tra “il dire e il fare” sono secondo un recente studio realizzato da Boston Consulting Group (BCG), Cambridge Judge Business School e il Cambridge ClimaTRACES Lab principalmente tre:
1. Comprensione incompleta dei costi dell’immobilità: non esiste ancora un
consenso scientifico sugli impatti economici del cambiamento climatico e
le stime attuali sono incerte.
2. Impatto disomogeneo e budget limitati: gli effetti del cambiamento
climatico variano a livello globale, influenzando le priorità di governi e
aziende.
3. Bias umani verso il breve termine: la tendenza a focalizzarsi sul presente
ritarda l’azione su sfide a lungo termine.
Quanto costa il freno all’azione climatica
Lo studio uscito in questi giorni in cui i big della Terra si confrontano a COP29 a Baku confronta due scenari: uno che vede invariati gli attuali livelli di investimento nella mitigazione, che porterebbero a un aumento della temperatura di oltre 3°C entro il 2100, e uno scenario di azione, che vede investimenti sufficienti nella mitigazione per limitare il riscaldamento a meno di 2°C.
Da qui viene calcolato il costo netto dell’immobilità e gli investimenti necessari in
mitigazione e adattamento. Si tratta di perdite valutate tra il 16% e il 22% del PIL cumulativo entro il 2100, pari a una riduzione del tasso di crescita globale annuale di circa 0,4 punti percentuali.
Basta meno del 2% del Pil mondiale fino al 2100, per evitare perdite economiche stimate tra l’11% e il 13% del PIL cumulativo.
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In pratica “Mantenere una traiettoria inferiore ai 2°C offrirebbe un ritorno sociale da sei a dieci volte superiore rispetto ai costi sostenuti, senza tenere conto dei costi aggiuntivi di adattamento che si avrebbero in uno scenario di inazione” si legge nello studio.
“Assistiamo a un progressivo incremento nella frequenza e nell’intensità degli eventi
climatici estremi: dal 2015, il numero di disastri naturali è salito del 15%, con un
aumento del 205% nei costi economici e del 280% nelle vittime umane.” commenta in una nota Marco Tonegutti, managing director e senior partner di BCG. “Tardare l’adozione di misure necessarie per limitare il riscaldamento globale, esitando davanti ai costi iniziali richiesti per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, porta a una risposta collettiva ancora troppo lenta: ogni ulteriore ritardo nell’azione aumenta i costi futuri e rende alcuni impatti irreversibili.”
Argomenti su cui la COP29 in Azerbiajan non potrà che interrogarsi.
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