E’ sul mix energetico globale che si concentra l’ottava edizione dell’Energy Transition Outlook 2024, presentato oggi, 9 ottobre, dalla norvegese DNV in conferenza virtuale.
Il 2024 è l’anno del picco di emissioni globali legate al settore energetico, che stanno subendo un declino strutturale con l’accelerazione della decarbonizzazione. Le previsioni vedono le emissioni energetiche quasi dimezzarsi entro il 2050, ma non basta. Le temperature restano lontane dagli obiettivi di Parigi: secondo il report, infatti, il pianeta si riscalderà di 2.2°C entro la fine del secolo.
I quattro i punti salienti
I risultati principali del report di DNV ruotano attorno a quattro elementi:
- – Il 2024 è l’anno del picco globale delle emissioni energetiche;
- – La quota di carbone e petrolio nel mix energetico si sta contraendo grazie al crollo dei costi delle rinnovabili.
- – La produzione di idrogeno è rivista al ribasso poiché mercati e politica non riescono a facilitare il progresso nei settori hard to abate.
- – L’eolico offshore potrà subire rallentamenti nella crescita.
Questo giro di vite delle emissioni è dovuto in gran parte all’abbattimento dei costi delle rinnovabili, il che favorisce un’accelerazione per il phase out del carbone dal mix energetico. L’anno scorso, ad esempio, le installazioni annuali di energia solare hanno visto un aumento dell’80% dovuto al fatto che il solare, in molte regioni, ha battuto il carbone sul piano dei costi.
Pur rimanendo il più grande consumatore di carbone ed emettitore di CO2 al mondo, attualmente la Cina domina gran parte dell’azione globale sulla decarbonizzazione, specialmente nella produzione ed esportazione di tecnologie verdi.
Ma il successo delle rinnovabili non viene replicato nei settori cosiddetti hard to abate, dove le tecnologie necessarie alla decarbonizzazione conoscono un progresso rallentato. Rispetto allo scorso anno, infatti, il rapporto di DNV rivede al ribasso del 20% le previsioni a lungo termine per l’idrogeno e i suoi derivati (dal 5% al 4% della domanda finale di energia nel 2050).
L’eolico rimane un importante motore della transizione energetica e contribuirà per il 28% alla produzione di elettricità entro il 2050. Nello stesso arco temporale, è previsto un tasso di crescita annuo del 12% per l’eolico offshore. Ma gli attuali venti contrari che colpiscono il settore stanno pesando su questa crescita.
Nonostante gli ostacoli, aver raggiunto il picco delle emissioni quest’anno rappresenta un punto di svolta. Il mix energetico si sta spostando dall’attuale ratio di circa 80/20 a favore dei combustibili fossili, ad un mix che sarà equamente diviso tra combustibili fossili e non fossili entro il 2050.
“Il raggiungimento del picco delle emissioni è una pietra miliare per l’umanità. Ma ora dobbiamo concentrarci sulla velocità di riduzione delle emissioni e utilizzare gli strumenti disponibili per accelerare la transizione energetica. È preoccupante che il calo previsto sia molto lontano dalla traiettoria necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. In particolare, i settori difficili da elettrificare hanno bisogno di una nuova spinta politica”, ha dichiarato Remi Eriksen, presidente e CEO del Gruppo DNV.
Politiche energetiche coraggiose per un’azione climatica più giusta
Sebbene le previsioni sulle attività di cattura e stoccaggio del carbonio siano viste al rialzo da DNV, solo il 6% delle emissioni globali sarà catturato dalla CCS (Carbon Capture and Storage) nel 2050: prezzare il carbonio a livello globale potrebbe accelerare l’adozione di queste tecnologie.
Sul carbon pricing – e sulla spinta di politiche climatiche ben progettate – si allinea anche il nuovo studio condotto da Johannes Emmerling e Massimo Tavoni del CMCC, che fa luce sull’importante legame tra cambiamenti climatici e disuguaglianze, dimostrando come la redistribuzione dei ricavi del carbon pricing può contribuire a stabilizzare il clima e ridurre le disuguaglianze economiche.
Basandosi sui dati di otto modelli su larga scala, la ricerca esamina l’impatto che i cambiamenti climatici possono avere sulle disparità economiche all’interno dei vari paesi. Questo farebbe crescere l’indice di Gini (usato per misurare la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza) di una media di 1,4 punti entro il 2100.
Tuttavia, implementare politiche climatiche coraggiose come il carbon pricing può ridurre significativamente l’aumento del divario nel lungo periodo. Lo studio dimostra che redistribuire i ricavi del carbon pricing equamente tra i cittadini può non solo compensare i costi economici a breve termine, ma anche ridurre le disuguaglianze, abbassando l’indice di Gini di quasi due punti.
Gli autori auspicano che lo studio possa fornire ai decisori politici una guida operativa per un’azione climatica più equa e politicamente fattibile per i prossimi anni.
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