- Uno studio pubblicato sulla rivista Joule – Cell Press ha fatto emergere un processo altamente innovativo di trasformazione di residui agricoli e scarti forestali in vettori organici liquidi di idrogeno, strategici per la sua diffusione.
- Approfondiamo la questione con il professor Paolo Fornasiero dell’Università di Trieste, che ha contribuito alla ricerca.
L’idrogeno verde, cioè quello prodotto a partire da fonti rinnovabili, avrà un ruolo importante nella decarbonizzazione del nostro sistema energetico. Per poterne garantire la diffusione su larga scala, però, ci sono alcuni nodi da sciogliere. Un aiuto importante arriva da una nuova ricerca, pubblicata il 15 febbraio sulla rivista scientifica Joule – Cell Press, che descrive un processo altamente innovativo: prevede infatti di sfruttare la luce solare per trasformare biomasse in vettori organici liquidi di idrogeno, quali l’acido formico e l’aldeide formica, ovvero molecole che possono essere poi facilmente trasformate in H2. Lo studio, sostenuto anche dal Ministero italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, è frutto di una collaborazione tra i gruppi di ricerca di Feng Wang (Chinese Academy of Sciences), di Paolo Fornasiero e Tiziano Montini (Università degli studi di Trieste), e di Emiliano Fonda (Synchrotron SOLEIL).
Le problematiche legate al trasporto dell’idrogeno
“Ci sono tanti modi per produrre l’idrogeno e vari colori per descriverlo. In ogni caso, l’idrogeno è un gas e questa sua caratteristica lo rende difficile da trasportare. È un gas molto leggero, sono molecole molto piccole che possono fuggire facilmente. Siccome può essere impiegato in svariati modi, per esempio in sostituzione della benzina, dovremo trasportarne grandi quantità – utilizzando tendenzialmente i gasdotti esistenti – ed evitare dispersioni, che risulterebbero dannose sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista ambientale”, spiega Paolo Fornasiero, professore ordinario di chimica generale e inorganica presso l’Università di Trieste.
“La nostra idea è quella di produrre dei liquidi, più facili da trasportare, che possano poi essere trasformati in idrogeno. Invece di partire dall’acqua per scinderla in idrogeno e ossigeno, processo che si fa con gli elettrolizzatori, noi partiremmo da soluzioni acquose contenenti derivati delle biomasse di scarto, come zuccheri, scarti di oleifici, glicerolo derivante dalla sintesi del biodiesel. Con la luce e con un fotocatalizzatore, possono essere trasformate in liquidi organici che facilmente poi rilasciano idrogeno”.
Un insieme di tecnologie per la transizione energetica
Si tratta di un metodo che, da un lato, può contribuire a risolvere alcune delle questioni legate al trasporto dell’idrogeno e che, dall’altro, ha un impatto ambientale ridotto. Non solo sfrutta l’energia del sole, ma consente anche di valorizzare degli scarti, seguendo i princìpi dell’economia circolare. I ricercatori hanno dimostrato la fattibilità del procedimento; chiaramente, prima di poterlo replicare in un contesto che non sia quello sperimentale, c’è bisogno di svolgere ulteriori studi e di valutare diversi aspetti ingegneristici e tecnologici. A partire dalla scalabilità del processo. “Visto che si usa la luce solare, servono superfici molto grandi. Bisogna capire quanto idrogeno si può generare, e con quali costi”, chiarisce il professore. “Io penso che servirà un insieme di tecnologie per garantire il successo della transizione energetica”.
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Ecco perché il ruolo della ricerca, dei finanziamenti e della collaborazione fra istituti risulta fondamentale. “Quando si parla di temi di questa portata, le innovazioni diventano possibili solo se si uniscono le competenze, i punti di vista, le strumentazioni”, conclude Paolo Fornasiero. L’articolo è open access, il che significa che lo possono leggere tutti. Ogni tassello è fondamentale nel puzzle che ricostruirà il nostro legame con il Pianeta.
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