All’interno della IoT week, ha aperto il webinar “Packaging intelligente, i-Label, l’etichetta green che comunica con il consumatore”, Luca Donelli, presidente di Lombardy energy cleantech cluster, nata 12 anni fa, che supporta gli attori del mondo imprenditoriale e della ricerca. I ringraziamenti del presidente sono andati a Innovability per le piattaforme che mette a disposizione della ricerca in Lombardia.
Sergio Veneziani, responsabile del progetto e capofila del partenariato, racconta di come un gruppo di aziende lombarde insieme al prestigioso centro di ricerca, Istituto Italiano di Tecnologia, ha sviluppato il progetto i-Label o etichette intelligenti, iniziato a maggio 2019, partendo dalla piattaforma Core linerless solutions. Trattasi di una piattaforma per stampare le etichette elettroniche con materiali autoadesivi sostenibili, che permettono concretamente di eliminare gli scarti dal processo di etichettatura. Questa piattaforma è stata sviluppata come evoluzione naturale delle etichette autoadesive tradizionali, tese verso una maggiore sostenibilità, dove lo scarto viene trasformato in risorsa.
Che cos’è una i-Label?
E’ un’etichetta dinamica in grado di variare nel tempo il suo messaggio, è interamente stampata, infatti è realizzata utilizzando deposizioni compatibili con la stampa rotativa ed è ecosostenibile, non contiene nessun materiale tossico, né terre rare e può essere riciclata.
Il progetto i-Label: Core linerless solutions
Il progetto prevede lo sviluppo della piattaforma tecnologica succitata, che sarà tecnologica, ecologica ed efficiente, finalizzata a portare innovazione sia nel campo del packaging, che in quello della produzione di etichette autoadesive senza supporto siliconato, linerless appunto, grazie ai materiali autoadesivi Core linerless solutions.
L’implementazione di questi processi può aprire diversi scenari tra cui: un’etichetta interattiva completamente stampata, che sarà dinamica, non statica, in grado di cambiare il suo messaggio a fronte di uno stimolo esterno.
Il maggior produttore di birra al mondo, Anheuser Busch InBev, ha omologato la piattaforma Core linerless solutions per l’etichettatura delle sue bottiglie.
“Lo scopo”, afferma Veneziani, “in termini di sostenibilità è quello di eliminare gli scarti alla fonte, che è sicuramente meglio che riciclare, l’obiettivo è non produrne affatto, eliminandoli alla fonte”.
I vantaggi di Core linerless solutions
Ma ora vediamo i diversi vantaggi di questa etichetta:
– L’etichetta autoadesiva è laminata attraverso un film di protezione di materiale plastico, ma senza alcun supporto siliconico, perciò sostenibile, e molto più sottile delle classiche etichette autoadesive.
- Il secondo vantaggio deriva dal fatto che non ci sono scarti di processo;
- le etichette sono sempre laminate, quindi protette, senza dover aggiunger alcun film di laminazione;
- il processo di stampa utilizza metodi convenzionali validati;
- la produttività è maggiore in seguito ai minori cambi bobina, queste bobine essendo più sottili, a parità di dimensioni, durano di più;
- spessori ridotti significano riduzione dei volumi che consentono una riduzione del 50% dei costi di trasporto e stoccaggio;
- questa piattaforma è una soluzione chiavi in mano, disponibile per produttori di etichette e utenti finali, quali aziende manifatturiere. Tutto è pronto all’uso anche per le macchine etichettatrici.
Come si realizza un’etichetta con una funzionalità elettronica
Antonio Iacchetti, consulente scientifico del progetto i-Label e amministratore della startup Ribes Tech ci illustra il processo di stampa che parte dal substrato, quindi dalla nuova piattaforma molto innovativa Core linerless solutions, che risolve uno dei problemi principali dell’elettronica stampata, in quanto essendo un substrato che prevede l’incapsulazione, cioè la protezione di ciò che si va a stampare, ne consente il funzionamento.
“Questo è fondamentale”, racconta Iacchetti, “quando si va a stampare un dispositivo elettronico, perché senza una opportuna protezione non potrebbe funzionare”.
Partendo dal substrato, è necessario renderlo bagnabile e attaccabile dall’inchiostro che andiamo a depositare e ciò si può fare attraverso dei processi di trattamento superficiale che ne migliorano l’adesione. Quando si va a trattare, come in questo caso, materiali conduttori o semiconduttori, le proprietà fisiche dell’inchiostro richiedono una particolare attenzione.
Il partner che si è occupato di questo aspetto è stato Ferrarini & Benelli, leader a livello mondiale in queste tecnologie, che ha aiutato ad adattare questi processi per le specifiche tecniche di questi materiali.
Il secondo passaggio, è stata la stampa, quindi la deposizione del materiale, e in questo sono state sfruttate nuove tecnologie, grazie all’Istituto Italiano di Tecnologia e ai partner. In questo caso è stata utilizzata la flessografia, un metodo di stampa rotativa diretta, e il patterning laser.
Il terzo passaggio è l’asciugatura, sviluppata da un altro partner, la Vdg Lab, passaggio fondamentale dove viene rimosso il solvente, poiché qui i materiali iniziano ad interagire e a creare una rete che permette il trasferimento di carica. Altro passaggio molto importante che viene sviluppato con nuove tecniche che utilizzano illuminazione a Led e che quindi permettono dei vantaggi nell’ottimizzazione del processo.
Infine, il processo di laminazione, che arriva dopo aver realizzato l’etichetta elettronica, depositando i vari strati che la costituiscono. A questo punto, bisogna realizzare una copertura che protegga l’oggetto in questione, affinché le proprietà funzionali dell’etichetta stampata si mantengano nel tempo. Questa laminazione è intrinseca nel substrato, e questo protettivo è stato sviluppato dall’azienda Omet.
Una volta realizzata l’etichetta, l’ultimo passaggio è la sua applicazione sul prodotto, quindi sul packaging su cui deve essere applicata.
“Qui la sfida, specifica Iacchetti, è che non parliamo di una mera funzionalità estetica, ma di un’etichetta che ha una funzionalità elettronica che deve poter mantenere, inoltre, deve conservare la continuità tra i suoi strati perché altrimenti il suo funzionamento si interromperebbe. Pertanto, la trasposizione dell’etichetta sull’oggetto non è banale, come non lo è nessuno di questi passaggi, trattandosi di tecnologie all’avanguardia e molto innovative”.
L’etichettatura invece è stata realizzata dall’azienda Ilti, perché anche in questo caso, come per gli altri partner, si tratta di un’azienda con una enorme esperienza in questi processi.
Far funzionare l’IoT con le pellicole fotovoltaiche
Antonio Iacchetti, amministratore della start up Ribes Tech, ci svela se e come le pellicole fotovoltaiche, che attualmente vengono già utilizzate per alimentare dispostivi elettronici IoT, potranno alimentare le etichette intelligenti. La Ribes Tech, con la sua macchina, stampa celle fotovoltaiche e sviluppa le potenzialità della printed eletronics (elettronica stampata, che racchiude un insieme di metodi di stampa utilizzati per creare dispositivi elettrici su vari substrati).
“Stampare una cella fotovoltaica e quindi stampare elettronica significa partire da inchiostri funzionali, che sono dei conduttori e semiconduttori, insomma materiali con proprietà elettriche, che vengono mantenute. Il rullo di stampa è costituito da un film in pet, plastica standard per un packaging. Quindi, si parte dai rotoli di pet e si arrotola alla fine la cella fotovoltaica. Elettricamente è una cella fotovoltaica standard, ma da un punto di vista meccanico è un film plastico e ne preserva le caratteristiche. Inoltre, si possono adattare le forme a qualsiasi superficie. Esiste la possibilità”, continua Iacchetti, “di impiegare celle fotovoltaiche per alimentare l’IoT del futuro: oggetti elettronici integrati in un oggetto, come un’etichetta, noi già oggi utilizziamo queste pellicole nell’ambito dell’IoT, perché così si possono alimentare circuiti elettronici convenzionali”.
Questo è interessante perché, la pellicola si può integrare in un oggetto andando ad utilizzarne tutta la superficie, la flessibilità di questo materiale dà libertà e opportunità di integrazione che la tecnologia tradizionale, basata sul silicio, non permette. Inoltre, ricoprire l’oggetto significa poter raccogliere energia dalla luce solare o artificiale per mantenerlo alimentato e mantenere alimentate le batterie. Quindi, fornire energia all’oggetto significa aumentarne il tempo di vita, perché la batteria durerà di più, in quanto mantenuta carica dalla pellicola. In questo modo, si avrà a disposizione più energia per poter sviluppare nuove funzionalità e farlo, riducendo le dimensioni della batteria ed aprendo a nuove applicazioni, al momento difficilmente perseguibili perché la tecnologia non lo permette.
Gli ambiti di applicazione del fotovoltaico flessibile possono essere diversi: domotica, automazione, smart city, sensori e suo essere anche indossabile, come sta sviluppando la Ribes Tech: si può ad esempio introdurre l’elettronica che monitora l’effettivo utilizzo di un dispositivo di protezione, ma ciò può essere trasferito anche nella sensoristica, ad esempio biomedicale. Sono tutte applicazioni che, in poche parole, richiedono massima integrazione e flessibilità.
La printed electronics nel futuro dell’IoT
Mario Caironi, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), afferma che: “Il messaggio che deve passare è che la penetrazione dell’IoT dipende dalle tecnologie che abbiamo a disposizione. Per poter connettere oggetti, l’IoT ha bisogno di tecnologia ed elettronica che permetta di rendere gli oggetti comunicanti tra di loro e connettere gli oggetti ha dei costi di integrazione”.
L’elettronica stampata è una possibile soluzione per permettere una maggiore penetrazione dell’IoT.
Oltre alle pellicole fotovoltaiche, si possono realizzare anche circuiti microelettronici, plastici o cartacei, con caratteristiche simili a quelle delle pellicole fotovoltaiche, ma hanno una funzionalità diversa. Ciò che si vuole fare con l’elettronica è portare intelligenza su oggetti anche a basso valore aggiunto e soprattutto connetterli.
L’Iit è stato il primo al mondo, nell’ambito della ricerca, a realizzare dispositivi basati su polimeri stampati, quindi su plastiche stampate che possono funzionare oltre i 100 MHz. Ciò significa, come racconta Caironi, che si è molto prossimi ai 300 MHz e quindi le etichette possono essere lette a 10 metri di distanza, abilitando tutta una serie di applicazioni per l’IoT.
L’Iit è riuscito a realizzare circuiti che sono contenuti in 150 nanometri di spessore, quindi elettronica ultra-sottile, 10 volte inferiore al micron, 100 volte inferiore alla pellicola da cucina.
“Sono circuiti talmente sottili che si appiccicano alle superfici e possono attaccarsi ed aderire anche ad un dito, potendo esser piegate senza che si rovinino. Siamo pertanto davanti ad un oggetto ultra-sottile ed impercettibile che può essere applicato a tutte le superfici, tra cui anche ai cibi, in quanto di cellulosa e quindi ingeribile”, conclude Caironi.
Sergio Veneziani, responsabile del progetto e capofila del partenariato, ha concluso: “questo progetto rappresenta un nuovo modo di lavorare delle aziende indipendenti, che si sono unite attorno all’idea di creare qualcosa che prima non c’era. Per affrontare le nuove sfide del futuro, bisogna essere più bravi e robusti nello sviluppare nuove soluzioni, grazie al fatto che partecipano le eccellenze del circuito lombardo. L’industria italiana ha delle eccellenze che devono portare la propria esperienza e testimonianza, soprattutto quando si raccolgono attorno ad un’idea che prima non esisteva. Ognuno sta facendo bene la sua parte e questo può essere un modello a cui ispirarsi anche per altri modelli in altri ambiti”.
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