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Foto di Karolina Grabowska su Pexels.

Quali saranno le prospettive dello smart working nel settore elettrico una volta terminata l’infelice parentesi dell’emergenza Covid-19? Domanda a cui la ricerca realizzata dal politecnico di Torino per Utilitalia, Elettricità futura e Terna ha cercato di rispondere. Lo studio, ha anticipato nella presentazione online il 13 gennaio Agostino Re Rebaudengo, presidente Elettricità futura, parte dal presupposto che “il settore elettrico non è estraneo al lavoro da remoto” e “può ancora una volta avere un ruolo di anticipatore”. Posto che il governo, come ha scritto in una lettera Francesca Puglisi, sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ritiene che il lavoro agile sarà “un futuro modello di lavoro” che dovrà “rimanere in azienda” fissato su nuovi “rapporto di fiducia, orari di lavoro, pari opportunità”. A patto che non diventi “un ghetto per sole donne, che meno hanno gradito l’opportunità di lavoro in remoto durante il lockdown”, e che sia favorito da interventi sulle “infrastrutture, soprattutto nel Mezzogiorno, e sul fondo ‘Nuove competenze’ per incrementare la formazione”.

Lo studio su pandemia di Covid-19 e smart working

Lo studio “Analisi delle Forme di lavoro in remoto. Cosa è cambiato con la pandemia” ha aperto le porte al dibattito riguardo la “nuova normalità” di lavoro. È frutto di 15 interviste ai direttori esercizio e manutenzione, risorse umane di Enel, Terna, A2a, Hera, Iren, Acea realizzate tra settembre e ottobre 2020. Lo studio è partito dalla Legge n.81 del 2017 sul lavoro agile e si è focalizzato sui lavori di ufficio, amministrazione, progettazione tecnica, vendita e assistenza al cliente, management intermedio, con un benchmark con altri settori di servizi a rete (telco e gas). “La pandemia ha dato vita a uno smart work ‘generalizzato’, col Dpcm di marzo sono caduti gli accordi tra sindacati e aziende e si sono allargati ruoli e processi così da consentire di lavorare in remoto, soprattutto nelle grandi realtà”, ha spiegato il professore del politecnico di Torino Paolo Neirotti.

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Se prima della pandemia le aziende, più strutturate e che adottavano innovazioni tecnologiche, consentivano al dipendente di lavorare un giorno da casa, dopo la pandemia il lavoro da remoto ha vissuto un boom. Spazio, quindi, allo snellimento degli orari, alla flessibilità per bilanciare vita familiare e professionale (sempre più intrecciate), all’adozione di innovazioni tecnologiche e manageriali. In generale, Neirotti ha spiegato che non ci sono stati effetti negativi ma anzi: in alcuni settori la produttività è aumentata.

smart workingLe sfide che si pongono al management, ha proseguito Neirotti, riguardano nuovi approcci di controllo improntati sui risultati piuttosto che sull’orario di lavoro. Il lavoratore, nel caso più positivo, diventa autonomo e protagonista di quello che si definisce “cittadinanza organizzativa”, ossia l’acquisizione di una maggiore organizzazione e responsabilità. “C’è però il rischio di isolamento delle persone: vengono a mancare luoghi e momenti per socializzare e capire come si lavora, vengono a mancare momenti di network professionali importanti per la crescita, del personale e dell’azienda”.

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Slide proiettata durante l’evento dal professore del politecnico di Torino Paolo Neirotti.

Restano da regolare alcuni aspetti fondamentali per il benessere del lavoratore. Ad esempio, il diritto alla disconnessione e alla pausa e il bisogno di ridisegnare gli ambienti di lavoro. “I confini tra vita lavorativa e personale sono più labili, si lavora di più. A seconda del ruolo delle persone e dai comportamenti individuali l’effetto è diverso”. Restano alcune lacune riguardo a competenze e produttività individuali o alla possibilità di accedere alla banda larga. “Possono esserci gap soft, come la gestione del tempo, digitali e di leadership. Per questo sono necessari programmi di change management”. Infine, vanno ridefiniti i contratti collettivi nazionali e la retribuzione, tenendo conto che “se si misura il lavoro partendo dal risultato come si cambia la retribuzione”.

“Ora l’analisi del Politecnico identifica tre tipi di sfide – ha evidenziato la presidente di Utilitalia Michaela Castelli rivedere il sistema di controllo del lavoro, che incide anche sui contratti collettivi nazionali, la gestione del rischio di isolamento e l’utilizzo dei diversi strumenti digitali per costruire nuove pratiche di collaborazione, comunicazione e condivisione di esperienze”.

Digitalizzazione e lavoro: le politiche necessarie

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Visto che la pandemia ci ha catapultati nella modalità dello smart working, ha detto Silvia Ciucciovino, professore dell’università di Roma Tre, è bene definirne confini e modalità. “Consente di rivalutare l’autonomia individuale nella regolazione dei rapporti di lavoro, il diritto alla disconnessione e al riposo, la responsabilizzazione del lavoratore anche dal punto di vista contrattuale”. Al contempo, ha bisogno di trovare un assetto delle gerarchie perché “il discrimine tra lavoro autonomo e subordinato sta nell’equilibrio -o sbilanciamento- dei poteri delle parti del contratto di lavoro-debolezza contrattuale”.

Arturo Maresca, professore dell’università La Sapienza Roma, è intervenuto distinguendo subito il lavoro agile, che prevede l’alternarsi tra periodi di lavoro in sede e periodi di lavoro a casa, e dal lavoro a distanza, svolto in un luogo diverso dall’ufficio o dalla fabbrica. “Il tempo che prima era in mano al datore di lavoro ora è in mano al lavoratore”, ha commentato, “cambierà probabilmente l’organizzazione della città” e “la contrattazione dovrà riuscire a conciliare il modello di lavoro agile con gli spazi rilevanti all’autonomia individuale”.

Lo smart working oltre l’emergenza da Covid-19

L’emergenza ha sicuramente spronato l’uso della tecnologia in azienda e ridefinito gli equilibri di lavoro. Domandandosi quale sarà la sua eredità, Filippo Contino, senior advisor di Elettricità futura, ha parlato di “ruoli di leadership più specializzati, per favorire il controllo della qualità del lavoro e dei risultati”, più “qualità e professionalità”.

Marco Falcinelli, segretario generale Filctem Cgil, ha ricordato che il fenomeno riguarda il 21% dei lavoratori del Paese, l’1% solo nel manifatturiero (in aumento). “La sperimentazione forzosa presenta luci e ombre”, ha detto contraddicendo quando rilevato nell’analisi del Politecnico, “La maggioranza delle aziende ritengono che ci siano molti aspetti negativi, tra cui la riduzione della produttività ed efficienza nella gestione dei processi”. E sulla contrattazione e sul bilanciamento dei poteri “bisognerà trovare una regola nazionale” e “la contrattazione di secondo livello dovrà poi esercitare ruolo centrale”.

Salvatore Mancuso, segretario generale Flaei Cisl, ha marcato una differenza tra la prima e la seconda fase di emergenza: “nella prima, lo smart working era un elemento di contatto; oggi questo strumento diventa più pesante”. Durante il lockdown di primavera, ha spiegato, il sindacato e le aziende sono riusciti a mettere in piedi incontri e accordi in tutti i settori. “Hanno mostrato che si possono fare azioni sindacali di qualità. Io sarei per continuare su una strada ibrida”.

Quasi rivoluzionario Paolo Pirani, segretario generale Uiltec Uil, che ha parlato far nascere “un nuovo sindacato”, altrimenti ci saranno nuove diatribe.

Emilia Rio, risorse umane e organizzazione Terna, in rappresentanza delle grandi aziende del settore elettrico, ha riportato grande apertura e disponibilità all’ascolto. “Abbiamo creato un osservatorio congiunto paritetico, in accordo con le forze sindacali, per ri-tararci su questa forma di lavoro, rispettando la normativa”. Terna ha previsto il diritto alla disconnessione, “forse non l’abbiamo previsto nel modo più giusto”, crede nell’autonomia anche dell’apprendimento e nella responsabilizzazione.


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