machine learning
In copertina, un’immagine di archivio di Canale Energia.

Per affrontare i rischi legati al cambiamento climatico, la comunità scientifica ha iniziato a testare nuovi strumenti metodologici, inclusa l’applicazione del machine learning. Questo approccio sfrutta il potenziale della grande disponibilità e varietà di big data spazio-temporali per applicazioni ambientali. È da questi presupposti che nasce lo studio Exploring machine learning potential for climate change risk assessment del team di ricercatori di Fondazione Cmcc e università Ca’ Foscari di Venezia.

Machine learning chiave di lettura dei rischi climatici

Data la crescente attenzione sull’applicazione dei metodi di machine learning alla valutazione del rischio climatico, la ricerca italiana ha mappato lo stato dell’arte e il potenziale di questi procedimenti nel campo di ricerca. L’analisi scientometrica e sistematica sono state applicate congiuntamente fornendo una revisione approfondita delle pubblicazioni nel periodo 2000-2020, per un totale di oltre 1.200 articoli.

Questi algoritmi matematici sono spesso applicati in modalità d’insieme o ibridate per analizzare soprattutto gli eventi legati al rischio alluvioni e frane. Simulando i processi del cervello umano, sono cioè in grado di comprendere le relazioni tra una serie di dati di input al fine di predire l’output richiesto. L’applicazione del machine learning per trattare i dati di telerilevamento risulta dunque coerente ed efficace tra le applicazioni esaminate, consentendo l’identificazione e la classificazione degli obiettivi e il rilevamento delle caratteristiche ambientali e strutturali.

Le potenzialità dell’intelligenza artificiale

Come emerge dallo studio, il ricorso all’intelligenza artificiale ha grandi potenzialità, se applicata a questo settore. Grazie alla sua capacità di analizzare ed elaborare enormi quantità di dati, il machine learning permette infatti di risolvere relazioni complesse sottese al funzionamento dei sistemi socio-ecologici, sfruttando l’enorme disponibilità di dati che provengono da varie fonti, tra cui sensori per analisi ambientali ad alta frequenza temporale, social media, dati ed immagini satellitari, droni.

Il secondo vantaggio è che gli algoritmi sono capaci di combinare tra loro dati che provengono da diverse fonti. Riescono a valutare l’entità di un rischio sulla base del pericolo che lo innesca (ad esempio, un aumento delle precipitazioni) ma anche calcolando altri fattori determinanti nella quantificazione degli impatti, come la vulnerabilità e l’esposizione del sistema socio-economico su cui il pericolo si abbatte.

“Il machine learning rappresenta il futuro del settore della valutazione del rischio ma le sue grandi potenzialità non sono ancora sfruttate ampiamente”, spiega in una nota stampa Federica Zennaro, ricercatrice alla Fondazione Cmcc e all’università Ca’ Foscari di Venezia e primo autore dello studio. “Dalla nostra ricerca emerge che è ancora molto ridotto il numero di studi che utilizzano questi modelli per l’elaborazione di scenari di rischio futuri di lungo termine (con orizzonte il 2100). La stragrande maggioranza si focalizza sul breve periodo, probabilmente influenzata dalla ridotta disponibilità di serie temporali estese, capaci di supportare un adeguato addestramento del modello per proiezioni su lungo termine”.


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