“Dimmi come ti muovi e ti dirò chi sei” si potrebbe dire parafrasando un noto proverbio. Macchina privata (a benzina, diesel, GPL, metano, elettrica o ibrida), bicicletta (anche condivisa o e-bike), car pooling o sharing, motocicletta (forse 10hp…), monopattini, skateboard e gambe: i mezzi di spostamento adoperati dicono molto della nostra “carta di mobilità”.
Il maschio 38enne, rivelano ANIASA e Bain & Company nella ricerca “Il Car Sharing in Italia: soluzione tattica o alternativa strategica?”, raggiunge la sede di lavoro in car sharing e, grazie alle sue 2,8 tessere, sceglie il veicolo al momento più vicino senza preferenze tra operatori o modelli. Un fenomeno, quello della mobilità condivisa, che in Italia ha contorni numerici in continuo movimento: nel 2016 i noleggi hanno superato i 6,2 milioni, crescendo del 33% in un anno, e i nuovi tesseramenti sono stati 1.080.000, +70% rispetto al 2015.
Alla base c’è un accenno di cambiamento culturale. Si assiste sempre più di frequente all’abbandono dell’auto privata grazie alla possibilità di scelta tra diversi servizi, che però varia in base alla ricchezza dell’offerta cittadina e alla facilità di utilizzo dei mezzi. In questo senso, l’aggregatore Urbi permette di confrontare e scegliere la soluzione di sharing mobility più comoda sul momento. E, per il futuro, pensa al ticketing di servizi diversi per permettere, con un unico pagamento, di usufruire di un pacchetto combinato tra sharing (in macchina, scooter, bicicletta o ride sharing) e trasporto pubblico. Con l’obiettivo di vendere pacchetti su misura, così da consentire agli utenti di pagare per i servizi utilizzati.
Affiancare la sharing mobility al trasporto pubblico dimostra che la prima funziona bene se accompagnata dal secondo. E prova che l’intermodalità, supportata dalla gamification, sprona l’utente a declinare verso una mobilità dolce.
All’equilibrio modale, che promette di sgomberare le città dagli ingorghi quotidiani, lavora il mobility manager. La figura del responsabile della mobilità di area e di azienda è stata riconosciuta nel 1998 con il Decreto Ronchi, anche se esiste quello scolastico che non è stato ancora istituzionalizzato. Alla STMicroelectronics, azienda produttrice di componenti elettronici presenti anche nei nostri smartphone, il mobility manager Fabio Fusari coordina una comunità di 200 ciclisti che pedalano quotidianamente anche 36 km e risparmiano all’ambiente 6 ton di anidride carbonica l’anno. Come riesce a spronarli? L’azienda garantisce spogliatoi con docce e parcheggio esclusivo custodito. Al Comune di Parma il mobility manager Angela Chiari promuove corsi di guida sicura, perché chi meglio guida meno inquina. E ha siglato delle convenzioni con le aziende agricole di zona per la consegna di frutta e verdura ai dipendenti comunali in ufficio. Da settembre 2016 e per cinque anni, l’Università di Roma Tre mette a disposizione servizi di pooling e sharing per riuscire a tracciare i loro spostamenti e a raccogliere dati per la profilazione di studenti e personale addetto e l’elaborazione di nuove opzioni di spostamento. Inoltre, grazie ad una convenzione con Enel, mette a disposizione 4 siti di ricarica nei parcheggi dell’Università e 150 in città.
Talvolta, poi, il cittadino diventa il mobility manager di sé stesso. Nella scuola FILZI di Venezia-Mestre con il progetto “La mia scuola va in classe A” si è ottenuta l’installazione di elementi di protezione per garantire la circolazione di studenti e genitori. In più, con l’iniziativa PEDIBUS, si sensibilizzano i bambini a stili di vita più “sostenibili”. Lavori che hanno ridotto dal 31 al 18% l’uso dell’automobile e che hanno stimolato la progettazione partecipata tra uffici scolastici che prima non comunicavano.
Queste figure chiedono di alimentare il dialogo con le istituzioni centrali e locali per capire quali attività, pubbliche e private, sono promosse a livello urbano in modo da coordinare soggetti e progetti. In questo senso, la pianificazione dei PUMS, i Piani urbani della mobilità sostenibile, dove la “S” indica la volontà di inserire misure non infrastrutturali nella mobilità urbana, diventa un importante momento di confronto. Perché per promuovere una strategia di lungo periodo capace di intersecarsi con le iniziative già promosse – come i PAES – bisogna partire dal coinvolgimento del cittadino. E la prima domanda da cui partire è: “Dimmi come ti muovi e …”.
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