I Contratti di Fiume, per definizione, sono strumenti volontari per la corretta gestione delle risorse idriche e dei territori fluviali. Da anni soggetti pubblici e privati si riuniscono e confrontano per trovare la giusta strategia che valorizzi e protegga queste risorse e che contribuisca allo sviluppo locale. Una sorta di infrastruttura immateriale che oggi assume contorni più definiti.
Il punto è stato fatto il 9 aprile a Roma durante l’incontro tecnico di respiro nazionale “La partecipazione pubblica nella gestione dei corpi idrici. Il coinvolgimento dei portatori di interesse nei Contratti di Fiume”, organizzato dall’Osservatorio nazionale dei Contratti di Fiume del Ministero dell’Ambiente.
Nella mattinata si sono svolte le sessioni plenarie e parallele su “Analisi e messa in rete dei portatori di interesse”, “Informazione e comunicazione” e “Partecipazione e responsabilità” che hanno offerto punti di confronto per la tavola rotonda. Come ricordato dagli addetti ai lavori, i Contratti di Fiume sono in primo luogo un percorso culturale verso il recupero della memoria locale. Devono puntare a coinvolgere il numero maggiore di soggetti, rispettando il principio democratico alla base dei Contratti, e in special modo le scuole, il mondo accademico e della ricerca. Per coordinarli è indispensabile individuare dei “leader territoriali”, che diano il via all’effetto “palla di neve”, ovvero che iniettino il virus delle buone pratiche, e trovino un ordine in questa frammentazione.
In secondo luogo, nella ricetta individuata per la buona riuscita dei Contratti, bisogna partire da “tre o quattro temi centrali su cui proseguire di concerto con i Ministeri (dell’Ambiente e dell’Agricoltura ndr)”, ha sottolineato uno dei relatori della tavola rotonda Francesco Puma del Comitato di pilotaggio del Tavolo nazionale dei Contratti di Fiume. Secondo una gerarchia: “Ci sono i problemi di carattere nazionale e quelli di bacino. Occorre trovare un equilibrio, ad esempio, tra il problema dell’agricoltura e della difesa del suolo”.
Consumo di suolo
Il consumo di suolo è stato citato a più voci. Massimo Gargano, dg dell’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (ANBI), ha ricordato che è bloccato da anni “l’iter parlamentare della legge contro il consumo indiscriminato di suolo, concausa delle emergenze idrogeologiche, che costano annualmente all’Italia 7 miliardi di euro per riparare i danni”. Bruna Gumerio, responsabile scientifico dell’osservatorio Citizen Science, ha evidenziato che per contrastare la siccità e il consumo di suolo bisogna “lavorare sulla permeabilità” e “ridurre l’incisione dei fiumi che abbassa la falda”.
“Naturalizzazione del fiume”
Le direttive europee, quella sulla biodiversità e la direttiva quadro acque, “sono una guida”, ha rimarcato Puma, che permettono “di correggere in corso d’opera quello che facciamo”. Per il rappresentante del WWF Andrea Gavito la corretta attuazione dei Contratti di Fiume passa solo tramite “l’applicazione a fondo delle direttive europee”. Il Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico “Proteggi Italia” è “un disastro“, afferma, perché vuole “rendere la pianificazione ordinaria ma, d’altra parte, sono confermati i poteri speciali ai commissari regionali”.
Trattandosi di processi di “naturalizzazione” dei fiume, procede Gavito, è inutile “continuare ad artificializzare” tramite processi come quelli di bacinizzazione. “Ci sono le infrastrutture verdi che non vengono promosse, ad esempio”. “Se avviamo un percorso partecipativo e poi arriva un intervento di somma urgenza per l’arginatura del fiume tutto questo percorso è inutile”, ha rimarcato Giorgio Zampetti di Legambiente.
Trasparenza
Per garantire la trasparenza dei processi e la maggiore comprensione dei luoghi gli addetti ai lavori considerano validi alleati gli articoli di giornale e i musei dedicati. Verrà lanciata, come anticipato in sala, una nuova applicazione per “Conosci il tuo fiume”. C’è grande attenzione alla multimedialità e alle nuove tecnologie per la diffusione dei dati, è stata citata in sala la blockchain.
Rispetto degli accordi
Maggiore difficoltà, secondo i presenti in sala, tocca il consolidamento dei rapporti istituzionali e la partecipazione “statuaria” dei comuni. Talvolta è emerso come i sindaci aderiscano ai Contratti di Fiume per ottenere finanziamenti da destinare ad altre opere, come piste ciclabili o impianti idroelettrici. Questo per una mancanza di istituzionalizzazione del processo e perché il contratto non viene concretamente attuato e tradotto in impegni inderogabili.
Norme o gabbie
Ci sono poi due nodi. I Contratti di Fiume concorrono alla definizione e all’attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a scala di bacino ma “bisogna valutare quanto bisogna normare – ha commentato Tullio Berlenghi, capo della Segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente – Attenzione a non ingabbiare i fiumi”. E come trovare finanziamenti che, in maniera continuativa, supportino le iniziative da promuovere sul territorio.
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