Comunità energetiche e crescita sociale, un’opportunità per il Paese

Lo studio del CNR-ITAE e dell'Università di Messina

Comunità energetiche e crescita sociale,

La crescita delle comunità energetiche si accompagna anche a una crescita sociale e di conoscenza delle rinnovabili. Quando parliamo di comunità energetiche in realtà ci stiamo riferendo non solo a  una  tecnologia o a un insieme di tecnologie, ma anche a una comunità di persone. Una struttura energetica che può contribuire a un ritorno alla condivisione e al dialogo sociale che in parte nell’urbanizzazione e nel lavoro pendolare si è andato via via perdendo. Una condivisione che può rappresentare una duplice risorsa, anche a supporto delle persone più vulnerabili che oltre ai disagi legati al costo dell’energia subiscono spesso un isolamento sociale. Per questo è interessante studiare come queste infrastrutture vengono pensate nei territori che le ospitano e con che configurazione sono chiamate a rispondere alle diverse esigenze.

Le ricadute sociali delle comunità energetiche in Italia sono state analizzate dalla ricerca a cura di un team dell’Istituto per le tecnologie avanzate e l’energia “Nicola Giordano” CNRR-ITAE e dell’Università di Messina composto da Monica Musolino del Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche dell’Università degli studi di Messina; Gaetano Maggio, Istituto di Tecnologie Avanzate per l’Energia “Nicola Giordano” (CNR-ITAE) di Messina; Erika D’Aleo, Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche dell’Università degli studi di Messina e Agatino Nicita – Istituto di Tecnologie Avanzate per l’Energia “Nicola Giordano” (CNR-ITAE) di Messina. La ricerca sarà anche pubblicata sulla rivista scientifica “Renewable Energy”, nel Volume 210, (pag.ne 540-555) che uscirà a luglio 2023 ed è disponibile già nella versione on line.

Abbiamo discusso i risultati dello studio e le sue implicazioni proprio con Agatino Nicita del CNR-ITAE.

Le comunità energetiche stanno crescendo in Europa e in Italia allo stesso ritmo?

Bisogna evidenziare che da un punto di vista quantitativo non ci sono dati univoci. Questo vale sia per l’Europa che per l’Italia. Ci sono alcuni studi che includono nel numero delle comunità energetiche anche le cooperative e le configurazioni di autoconsumo. Mentre altri fanno una distinzione tra queste diverse categorie e distinguono anche le comunità energetiche effettivamente operative da quelle che non lo sono.

Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature in cui hanno censito le comunità energetiche in 29 paesi europei di cui 26 stati membri dell’Ue, sono state conteggiate 9.252 comunità energetiche. Più della metà di queste comunità si trova in Germania, che conta ben 4.848 comunità energetiche. 

Occupano i primi posti, dopo la Germania, i Paesi Bassi, la Danimarca, l’Irlanda. In questa classifica, l’Italia si colloca al nono posto (198), dopo la Spagna (235), primo paese dell’Europa meridionale, e prima della Grecia (168).

In Italia, il rapporto di Legambiente del 2022 rileva un centinaio tra comunità energetiche e configurazioni di autoconsumo collettivo. Distinguendo quelle già operative, quelle in fase di progettazione e quelle che si stanno costituendo.

Mentre il GSE, nel rapporto del settembre del 2022, risultano 37 configurazioni di autoconsumo collettivo e 17 comunità energetiche.

Ma al di là, di quelle che sono le considerazioni riguardanti gli aspetti numerici, il dato rilevante è che, in queste diverse rilevazioni, le varie configurazioni in cui vengono coinvolti gli utenti stanno aumentando.

Nel vostro studio avete effettuato delle valutazioni sul  coinvolgimento sociale delle comunità, a quale scopo?

Le comunità energetiche sono innanzitutto un fenomeno sociale poiché si basano su pratiche di condivisione e di partecipazione che coinvolgono diversi attori ma soprattutto i cittadini. Questo perché sono uno strumento attraverso il quale si può attuare la cittadinanza energetica, contribuendo a diffondere pratiche energetiche più sostenibili che possono contribuire ad accelerare la transizione energetica.

Ma la realizzazione e l’operatività di una comunità energetica dipendono da diversi fattori socio-economici e culturali relativi al contesto in cui si andrà ad insediare. Bisogna quindi studiare le differenze di contesto per fare in modo che questo fenomeno possa avere un’ampia diffusione e possa essere uno strumento di inclusione ed innovazione sociale.

Quali sono i parametri che avete preso in considerazione nella vostra indagine?

La ricerca, conclusasi nel 2021, si è focalizzata sull’individuazione dei fattori che influenzano la creazione della comunità energetiche. In particolare, abbiamo indagato sulle diverse caratteristiche delle comunità energetiche emergenti in relazione ai loro contesti locali, confrontando tre casi di studio collocati in aree diverse del paese. 

La nostra analisi è stata svolta su due livelli uno macro e l’altro micro. Abbiamo creato un database per individuare la collocazione geografica delle comunità energetiche in Italia e includere i principali elementi che caratterizzano queste iniziative.

Va sottolineato che il “panorama” delle comunità energetiche in Italia è in costante evoluzione e il loro numero sta aumentando molto rapidamente. Dalla nostra analisi, fino a gennaio 2023, abbiamo rilevato 24 comunità energetiche rinnovabili (CER) tra quelle in fase di realizzazione (11), cioè che si stanno costituendo, e quelle operative (13), già costituite e che hanno avviato le attività.

Inoltre, facendo riferimento alle due macro aree del Paese, abbiamo potuto constatare che tra quelle operative, 8 sono nelle regioni meridionali e 5 in quelle del nord. Mentre, quelle in fase di implementazione, 8 al nord e 3 al sud. 

Nel complesso è apparso un quadro che mette in evidenza delle diverse esigenze del paese tra nord e sud? Secondo lei perché?

Questa analisi ci ha permesso di evidenziare alcune caratteristiche peculiari delle comunità energetiche nelle due macro aree del paese (Centro Nord e Sud ed Isole).

In particolare, abbiamo considerato una serie di indicatori: numero di iniziative e progetti in relazione a ciascuna area, dimensioni, tipologia di comunità energetiche, tipologia di attori coinvolti, finanziatori.

Quello che abbiamo riscontrato è che questi progetti di CER presentano delle particolarità strettamente collegate ai contesti territoriali in cui sono stati avviati e sviluppati. I tre casi studio (una comunità del Nord e due del Sud), che abbiamo selezionato per effettuare una ricerca più dettagliata, sono stati scelti perché ognuna è il risultato di un diverso background socio-economico e rappresenta una diversa visione di comunità energetica, delle sue possibili relazioni con il contesto e dei relativi bisogni. 

Nel Nord, come elemento peculiare, abbiamo rilevato una maggiore e più organizzata presenza di attori legati al mondo della ricerca tecnologica. Il Politecnico di Torino, ad esempio, anche attraverso la sua startup Energy4Com, sta promuovendo e sostenendo la creazione di diverse comunità energetiche (una di queste è il nostro caso studio la comunità Energy City Hall di Magliano Alpi) tra Piemonte e Friuli Venezia-Giulia all’interno di una visione che le convoglia nel Forum Italiano delle Comunità Energetiche (IFEC), promosso dall'”Energy Center” del Politecnico.

Oltre, al Politecnico di Torino nel caso di Magliano Alpi, da segnalare anche il caso della GECO (Green Energy Community) di Bologna, in cui sono coinvolti l’università di Bologna e l’ENEA.

Nelle regioni meridionali, invece, la dimensione tecnologica ha in alcuni casi una notevole importanza – come ad esempio nella “Comunità Energetica e Solidale” di Messina -, ma è più subordinata alla dimensione della costruzione di un forte legame comunitario.

La partecipazione o meno delle realtà pubbliche rappresenta per lei un limite allo sviluppo delle comunità?

La nostra analisi ha mostrato che l’emergere di comunità energetiche a livello nazionale è caratterizzato dalla definizione di alleanze che ruotano attorno al ruolo centrale delle autorità locali, in particolare i Comuni.

Il rapporto di fiducia tra amministrazione locale e cittadini, come nei due casi studio di Magliano Alpi in Piemonte e di Ferla in Sicilia, è stato fondamentale per innescare il processo di avvio della CER.

Come vede il futuro di questo strumento?

Le comunità energetiche possono rappresentare uno strumento che, allo stesso tempo, può favorire la diffusione delle rinnovabili e delle tecnologie ecosostenibili e contribuire ad una transizione energetica equa, evitando squilibri e diseguaglianze sociali ed economici che potrebbero escludere da questo processo soprattutto fasce di popolazione più vulnerabili. Questo punto è oggetto di un ampio dibattito e confronto che coinvolge sia la comunità scientifica che il mondo dell’associazionismo.

Perché secondo lei le esigenze di povertà energetica si sono manifestate più a sud che a nord, quando sappiamo che il fenomeno è eterogeneo su tutta Italia?

Attraverso la nostra ricerca, abbiamo visto che i fattori che incidono in modo considerevole nella costituzione di una comunità energetica sono i contesti socio-economici, le condizioni locali, le risorse disponibili, i bisogni ed i valori degli attori coinvolti.

Prendiamo il caso della Comunità Energetica e Solidale di Napoli Est – l’altro caso studio del Sud – la finalità sociale della CER è molto forte e strettamente collegata alle condizioni socio-economiche del Merdione e soprattutto dello specifico quartiere. In termini generali, la CER è il risultato di una negozazione/collaborazione tra le persone, non necessariamente i membri della CER, ma più in generale gli abitanti più attivi del quartiere, ed i promotori dell’iniziativa (Fondazione Famiglia di Maria, Fondazione per il Sud e Legambiente). Questo processo di negoziazione ha generato il significato di riscatto sociale per gli abitanti della zona.

Da evidenziare il fatto che questa reazione da parte degli abitanti del quartiere è molto interessante e di rilievo perché nessuno dei promotori l’ha sollecitata. Infatti, all’inizio, i promotori (che sono i rappresentanti delle fondazioni e di Legambiente) di questa iniziativa non avevano pensato di trasmettere questo significato e questo valore ai possibili soci e a tutta la popolazione del quartiere. Si aspettavano, piuttosto, dagli abitanti del quartiere un interesse più incentrato sui benefici economici (risparmio economico) derivanti dall’adesione alla CER.

Il senso della CER è stato invece rinegoziato a partire dal desiderio e dall’interesse mostrato dalla popolazione per l’impatto ambientale della CER in termini di ribaltamento dell’immagine “stigma sociale” associata agli abitanti di quest’area.

Inoltre, come è emerso chiaramente dalle interviste, le donne stanno svolgendo il ruolo più importante nel diffondere e spiegare il senso e i meccanismi di questa iniziativa anche in relazione ai cambiamenti nei comportamenti di consumo derivanti dalle rinnovabili.

Questa rete di attori si è posto l’obiettivo di sviluppare un processo partecipativo anche attraverso il percorso educativo sui temi ambientali per i giovani condotto dalla Fondazione Famiglia di Maria e da Legambiente, nonché per i membri della CER sui consumi energetici, come ha raccontato il leader regionale di Legambiente.

Secondo lei oltre alle esigenze sociali ci sono delle esigenze tecnologiche da superare?

Rispetto alle tecnologie, oltre all’ulteriore sviluppo tecnico che consentirà di renderle ancora più accessibili soprattutto riguardo ai costi, bisogna considerare anche un altro aspetto quello dell’accettabilità, sia individuale che sociale, delle nuove tecnologie.

Sicuramente il costo è un fattore che incide anche in modo rilevante, ma in alcuni casi non costituisce l’elemento determinante affinché un nuovo sistema o dispositivo venga accettato ed utilizzato. Come ampiamente dimostrato da diversi studi, la diffusione e l’utilizzo di una tecnologia passa anche attraverso la trasformazione di norme sociali, abitudini, credenze, dinamiche relazionali, pratiche quotidiane.

La transizione energetica può essere anche una transizione solidale di cosa ha bisogno? E’ una risposta che dovremo trovare come sistema Paese o in cui l’Europa svolge un ruolo?

La transizione energetica deve necessariamente realizzarsi evitando che rimangano fuori sia i paesi in via di sviluppo che le fasce della popolazione più povere nei paesi più industrializzati ed ad alto reddito. Oltre ad una questione di giustizia sociale, si tratta di una esigenza collegata ai problemi ambientali e climatici che interessano il nostro pianeta. Tutti devono essere coinvolti e tutti devono essere messi nelle condizioni di poter contribuire alla salvaguardia del pianeta. Come sottolinea il recente rapporto “Technology and innovation report 2023” dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo, i Paesi in via di sviluppo devono essere supportati adeguatamente per facilitare la diffusione e l’utilizzo, in tempi brevi, delle tecnologie green.

Leggi anche: Comunità energetiche: la sostenibilità dei piani finanziari essenziale per tutelare le fasce deboli


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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.