Le persone che guidano per diletto o professione guardano con interesse o scetticismo alle auto a guida autonoma? Sono preoccupati del comportamento su strada di questi mezzi? Sono alcune delle domande contenute nei questionari faccia a faccia posti a 201 persone, 123 guidatori e 78 professionisti. La ricerca è stata condotta nel 2017 dal Modena automotive smart area (Masa) dell’università di Modena e Reggio Emilia (Unimore).

Trae spunto da quella del 2014 promossa dalla Michigan university attraverso 500 questionari online somministrati in Cina, India, Giappone, Stati Uniti, Regno Unito e Australia. La ricerca del Masa non è stata ancora pubblicata, Canale energia ve ne mostra in anteprima alcune slide.

Mobilità alternativa e smart city: scenario complesso

L’indagine tiene conto di diversi fattori che rendono un contesto favorevole allo sviluppo di questo tipo di trasporto. Si va dal welfare alla governance, dall’urbanizzazione agli investimenti pubblici sulle infrastrutture, alle politiche strategiche e di lungo periodo. Il campione è variegato: rispondono i possibili utilizzatori, le persone che indirettamente verrebbero a contatto con le auto a guida autonoma, come pedoni o ciclisti, produttori, investitori privati e altre società di sharing o di noleggio con conducente.

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Gap tecnologici

Il Masa già nel 2017 ha evidenziato alcuni gap tecnologici, attuali ancor oggi. Alcuni sono simili a quelli del mondo automotive più tradizionale. Tra questi spicca il divario tra i test condotti in laboratorio e il comportamento su strada. Manca ancora oggi l’equipaggiamento che possa rendere il mezzo davvero autonomo, questo perché le aziende sono pronte ma sono frenate dall’assetto normativo di alcuni paesi (leggi l’approfondimento). Oggi è meglio parlare di guida assistita perché i mezzi non sono del tutto in grado di interagire con gli altri veicoli o con le altre persone presenti sulla strada. Inoltre, emerge l’incapacità dei produttori di realizzare veicoli che sappiano assecondare comportamenti inaspettati ed esigenze dei passeggeri.

Auto a guida autonoma, cosa ne pensano gli italiani

La ricerca arriva a conclusioni molto interessanti. In generale, l’opinione tra gli italiani è molto positiva per il 19,5% e positiva per il 47,2% del campione. La maggior parte di questi non è un professionista. Solo l’1,6% esprime un giudizio molto negativo. I numeri sono in linea con quelli di Stati Uniti e Australia. I più entusiasti della tecnologia si rivelano cinesi e indiani, all’opposto giapponesi e statunitensi.

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Benefici

Guardando ai risultati sui benefici attesi gli italiani sono i più moderati al mondo. Professionisti e non citano una riduzione degli incidenti e della loro severità (69,1 e 66,7%). Meno emissioni e un minor consumo di carburante (65,8 e 62,6%). All’opposto, la maggior parte del campione non crede riduca il traffico o i tempi di percorrenza (entrambi 34,2%). Del resto, qualsiasi mezzo, a trazione tradizionale o elettrica o autonoma, porta a congestionare il traffico se non usato solo per necessità o in regime di sharing e pooling.

Preoccupazioni

Gli italiani non si mostrano esageratamente preoccupati per l’utilizzo dell’auto a guida autonoma o, all’opposto, indifferenti alle problematiche che possono sorgere. I timori maggiori riguardano l’interazione con pedoni e ciclisti (74,8%) e con gli altri mezzi senza conducente (70,8%). Per il 73,2% dei rispondenti il dubbio riguarda la sicurezza dagli attacchi degli hacker. Il 64,1% si interroga su come si potrebbe comportare il veicolo in caso di situazioni inattese. Infine, il 65% teme per l’utilizzo dei propri dati, per fortuna viene da aggiungere.

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Propensione all’acquisto

Infine, nel 2017 sia i professionisti che i non professionisti non erano interessati all’acquisto di un mezzo a guida autonoma. Anche se una buona parte del campione (dal 22 al 26%) era disposto a pagare un sovracosto di 5.000 euro per averne uno.

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Conclusioni

In conclusione, anche se gli italiani rivelano un’implicita resistenza all’utilizzo delle auto a guida autonoma, gli sforzi congiunti della ricerca pubblica e privata e l’adozione di strategie politiche lungimiranti potrebbero far compiere un balzo a questa tecnologia.


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