MucchePer cercare di mettere in atto delle strategie efficaci sul fronte della riduzione delle emissioni inquinanti nel comparto zootecnico, è opportuno, da un lato, sensibilizzare maggiormente gli operatori della filiera con una comunicazione mirata, dall’altro adottare una visione olistica incentrata su interventi di tipo gestionale che valutino l’allevamento in tutte le sue fasi. E’ quanto ha spiegato a Canale Energia Flaviana Gottardo, professoressa del dipartimento di medicina animale, produzioni e salute dell’Università degli Studi di Padova, con cui abbiamo approfondito alcuni aspetti relativi al tema dell’impatto ambientale della zootecnia.

Può darci un’idea dell’impatto del settore in termini di emissioni?

Possiamo dire che in questo comparto risulta rilevante soprattutto la componente legata alla produzione di ammoniaca, che ha un impatto sulla qualità dell’aria, ma anche sulla produzione di gas a effetto serra. Nello specifico l’azoto all’interno delle deiezioni e dei fertilizzanti può dare un contributo significativo in termini di inquinamento dell’aria. Il fenomeno diventa un problema, soprattutto in aree come la Pianura Padana, che si caratterizzano per una scarsa ventilazione e un conseguente accumulo di polveri sottili.

L’azoto negli allevamenti si libera attraverso le deiezioni degli animali. In particolare, i punti di emissione all’interno del ciclo dell’allevamento sono diversi: durante la fase di allevamento nella stalla, di stoccaggio dei liquami e poi nella fase di spargimento dei liquami in campo. Dobbiamo quindi adottare delle azioni di mitigazione in queste tre fasi.

Va poi fatta un’altra distinzione relativa alla modalità di produzione dei gas. Una parte dei gas si genera per produzione indiretta in virtù di processi microbiologici che si attivano in presenza di condizioni microclimatiche specifiche. Un’altra parte dei gas viene invece prodotta in maniera diretta dall’animale, attraverso i processi della digestione, per esempio il metano attraverso la ruminazione.

Quali strategie si possono mettere in atto per mitigare queste emissioni?

Una misura efficace è quella di lavorare sulla quantità delle deiezioni prodotta. Si tratta di mettere in atto tutte quelle azioni che ci permettono di ridurre il numero di capi allevati e di rendere più efficienti quelli presenti nella stalla, a parità di produzione. In sostanza il principio è minor consumo, legato a un numero inferiore di animali, con conseguente minor produzione di escrementi. Si agisce a monte del problema.

Il nodo da sciogliere è, quindi, quello relativo alla parte gestionale. Interventi in quest’ambito potrebbero portare nel breve periodo a risultati più significativi nella riduzione delle emissioni. Tuttavia va sottolineato che è molto più difficile codificare delle pratiche gestionali rispetto a interventi di tipo di strutturale. E’ infatti relativamente semplice, dal punto di vista dei controlli ambientali, verificare che ci sia una copertura sulle vasche di stoccaggio di liquami, mentre è più complesso valutare se sia stato fatto tutto il possibile dal punto di vista gestionale per ridurre, ad esempio, i periodi improduttivi degli animali.

Ritengo quindi che sia fondamentale lavorare sulla sensibilità dell’allevatore, sulle filiere di produzione e sul ruolo delle associazioni di produttori per ottenere risultati significativi. Bisogna quindi favorire un impegno volontario per la diffusione di buone pratiche di gestione del bestiame.

Può fare un esempio concreto di buone pratiche da mettere in atto?

Ad esempio, nel caso delle bovine da latte e delle scrofe, possiamo aumentare la lunghezza della carriera produttiva degli animali. Ciò significa avere meno giovani animali che vanno a sostituire animali a fine carriera e quindi avere una riduzione della fase improduttiva. Si può inoltre lavorare sulla fertilità degli animali in modo che siano rispettati certi tempi di recupero e si evitino dei periodi prolungati di inefficienza. Infine si può intervenire sull’alimentazione attraverso diete a minor tenore proteico o tramite uso di integratori specifici, mi riferisco ad esempio ad amminoacidi essenziali. In questo modo la quantità di nutrienti presenti nella razione fornita agli animali risulta più efficiente. 

Concretamente come si può contribuire a far maturare la consapevolezza su questi temi tra gli allevatori?

E’ importante promuovere maggiore informazione e dare indicazioni a tutto il comparto sulle misure di mitigazione che sono adottabili su larga scala. L’allevatore deve conoscere gli effetti che si producono sull’ambiente durante l’allevamento e avere gli strumenti per capire come agire per prevenire questi effetti. Oltre a questo è opportuno che chi gestisce gli allevamenti possa valutare le tempistiche con cui gli effetti si producono. Interventi di tipo gestionale, infatti, risultano efficaci già nel breve periodo e molto spesso si inseriscono nel quadro di iniziative messe in atto per aumentare l’efficienza dell’azienda e per questo prive di un impatto economico negativo specifico.

Tuttavia, tutto questo processo virtuoso non parte a meno che non maturi negli operatori del settore una maggiore consapevolezza sulla necessità di intervenire.


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Giornalista professionista e videomaker con esperienze in diverse agenzie di stampa e testate web. Laurea specialistica in Filosofia, master in giornalismo multimediale.