Le emissioni di CO2, se non saranno ridotte drasticamente, causeranno l’estinzione di almeno la metà delle specie animali e vegetali in aree del pianeta ricche di biodiversità. Lo afferma il WWF nel suo rapporto 2018 pubblicato sulla rivista Climate Change, a pochi giorni dall’Earth Hour, evento globale per l’ambiente promosso il 24 marzo dall’organizzazione internazionale.
Lo studio
Lo studio, al quale hanno lavorato esperti dell’Università dell’East Anglia, della James Cook University e il WWF stesso, analizza l’impatto dei cambiamenti climatici su circa 80 mila specie di animali e di piante in 35 aree tra le più improntate alla biodiversità del mondo.
Per l’esperimento sono stati prospettati due scenari climatici futuri: uno di non riduzione delle emissioni, con un relativo aumento delle temperature medie globali stimato fino a 4,5 °C; poi quello richiesto dagli Accordi di Parigi, con il contenimento del riscaldamento globale entro i 2 °C.
Le aree ricche di biodiversità a rischio
In aree come le savane boschive di Miombo, nell’Africa meridionale, dove vivono ancora i licaoni, un aumento di 4,5°C renderebbe insostenibile l’esistenza del 90% degli anfibi, dell’86% degli uccelli e dell’80% dei mammiferi. In un’altra area naturalmente rilevante come l’Amazzonia, il 69% delle specie vegetali potrebbero essere perse. Nell’Australia sud occidentale, l’89% degli anfibi potrebbe estinguersi localmente e in Madagascar la cosa riguarderebbe il 60% di tutte le specie.
E ancora, le boscaglie del fynbos nella regione del Capo Occidentale in Sud Africa, che stanno vivendo una fortissima siccità con carenze idriche significative, anche a Città del Capo, potrebbero veder sparire un terzo delle specie presenti, molte delle quali nascono solo in quella Regione.
Anche il Mediterraneo non se la passerebbe meglio: tra le zone più monitorate per le minacce alla biodiversità, lo studio suggerisce che, anche se l’aumento delle temperature si limitasse entro i 2 °C, a pagarne il prezzo sarebbero comunque il 30% della maggior parte delle specie vegetali e animali dei gruppi di specie analizzate. La fauna più a rischio è quella delle tartarughe marine e di alcune specie di cetacei, peraltro già in sofferenza per altri tipi di impatto causati dall’uomo.
Da attendersi, secondo il WWF, anche periodi di siccità in tutte le stagioni, che potranno causare stress da calore per gli ecosistemi più sensibili, come le testuggini d’acqua dolce o gli storioni, minacciati dal cambiamento del grado di salinità nelle acque.
Altro spettro è quello dell’irregolarità delle precipitazioni, con un calo delle piogge in alcune regioni che metterebbe pressione alle riserve d’acqua per gli elefanti, animali che devono berne in grandi quantità. L’habitat delle tigri, in India, potrebbero invece essere sommerso dall’innalzamento delle acque.
L’unica soluzione è una politica globale
Solo una migrazione delle specie verso aree più sicure, prosegue il report, ne salverebbe il 20-25% dall’estinzione locale, ma la maggior parte di piante, anfibi e rettili non hanno la capacità di spostarsi abbastanza velocemente da sottrarsi agli effetti del clima alterato nella propria area.
“Senza una politica per il clima – rimarca Rachel Warren, Professore del centro per la ricerca sui cambiamenti climatici nell’Università dell’East Anglia – perderemo il 50% delle specie di queste aree. Tuttavia, se il riscaldamento globale si limitasse a 2°C rispetto ai livelli preindustriali, questo rischio si ridurrebbe al 25%. Non abbiamo esplorato cosa accadrebbe con un limite inferiore a 1,5 °C, ma ci si aspetta che potrebbe proteggere ancora più la biodiversità”.
Il WWF ha lanciato un appello anche all’Italia, per attuare concretamente la chiusura delle centrali a carbone entro il 2025 e definire il Piano Nazionale Clima ed Energia, richiesto dalla UE entro quest’anno, nonchè la Strategia di Decarbonizzazione a lungo termine.
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