“Nonostante il 2023 sia stato un anno di tragici record legati al clima, il 68 per cento dei corsi universitari sul tema dell’energia è ancora incentrato sui combustibili fossili, contro il 32 per cento di quelli dedicati alle rinnovabili”. È con queste parole che Janez Potočnik, co-presidente dell’International Resource Panel (IRP), ha cominciato il suo intervento al World Circular Economy Forum di Bruxelles, nel panel sulle materie prime critiche del 15 aprile.
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L’aumento della domanda di materie prime
“Tutto ciò che preleviamo dalla Terra è da considerarsi una risorsa, compresi i combustibili fossili”, ha specificato Potočnik, che ha contribuito alla realizzazione del Global Resources Outlook 2024 dell’UNEP. “Lo sfruttamento delle risorse terrestri è aumentato in media del 2,3 per cento annuo, tra il 1970 e il 2023, con ripercussioni negative sulla salute dei suoli, sul clima e sulla qualità dell’aria. Per riuscire a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, il consumo di materie prime critiche dovrà crescere di sei volte da qui al 2040”.
I tre pilastri della transizione ecologica secondo l’IRP
È per questi motivi che, secondo l’IRP, non sarà sufficiente né potenziare le attività estrattive, né incrementare i tassi di riciclo. Bisognerà puntare anche sull’efficienza, ponendola come il primo di tre pilastri:
- ottimizzazione dei consumi energetici, grazie a un utilizzo più intelligente degli edifici e a una progettazione maggiormente user-friendly delle città, consentendo alle persone di lavorare più spesso da casa e di ricorrere ai mezzi pubblici per i propri spostamenti;
- adozione di policy che promuovano l’economia circolare a tutti i livelli, riducendo il peso dei prodotti che necessitano di minerali critici e allungandone la vita;
- approvvigionamento di materiali che siano in grado si soddisfare i più elevati standard ambientali e sociali.
Il potenziale del Critical Raw Materials Act
“L’UE può ridurre i suoi consumi di materie prime, che ora sono ancora a livelli insostenibili, tramite normative più vincolanti e meno frammentate”. Questo il parere di Colette van der Ven, fondatrice e direttrice di TULIP Consulting. “Qualcosa di simile all’EU Climate Law, che fornisca un quadro di indirizzi generale, ma stabilisca anche degli obiettivi specifici per i singoli settori e guardi non solo alla sicurezza, ma anche alla sostenibilità degli approvvigionamenti”.
Una buona base di partenza è il Critical Raw Materials Act, definitivamente approvato dal Consiglio dell’UE a marzo del 2024. Il Regolamento stabilisce tre parametri di riferimento per la copertura del consumo annuo di materie prime critiche: il 10 per cento da estrazione locale, il 40 per cento da trasformare nell’UE, il 25 per cento da materiali riciclati.
Il peso della finanza sostenibile
“Il Critical Raw Materials Act dovrebbe favorire gli investimenti nella giusta direzione, mentre il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) dovrebbe rendere gli scambi più equi”, ha rimarcato Paul Ekins, professore dell’University College London (UCL).
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“Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una grande crescita della finanza sostenibile, ma siamo solo all’inizio del percorso. Circolarità e sostenibilità devono diventare profittevoli, bisogna internalizzare i costi grazie agli opportuni sistemi regolatori e di tassazione. L’industria mineraria non è stata inclusa nella tassonomia, ma questo non significa che non sarà più necessaria: invece di ‘tapparsi il naso’, sarebbe meglio promuovere una maggiore chiarezza, magari grazie all’istituzione di un’autorità internazionale paragonabile all’IEA”. Queste le riflessioni del professor Ekins.
La creazione di stock e sinergie
Su questo punto hanno concordato Anthony Christian Spano Klein, direttore del dipartimento di Vale Base Metals dedicato alla circolarità, e Bryony Clear Hill, direttrice dell’innovazione presso l’International Council on Mining and Metals (ICMM). “Le attività estrattive possono diventare anche rigenerative”, ha detto Spano Klein.
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Questo approccio, basato sulla creazione di un impatto positivo sull’ambiente, ricorda quello suggerito da un gruppo di ricercatori che ha esaminato le conseguenze dell’estrazione dei minerali critici per i primati africani. “Ci sarà un bisogno sempre maggiore di metalli, ma la fortuna è che sono materiali durevoli: anziché chiamarli rifiuti, a fine vita, e trattarli come tali anche a livello normativo, possiamo tracciarli lungo l’intera catena del valore e creare degli stock”, ha aggiunto il direttore.
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A quel punto, non si tratta più di prodotti destinati a “trasformarsi” in automobili o telefoni, per poi diventare rifiuti, ma di asset veri e propri. È proprio per questo che diventa “fondamentale creare delle sinergie fra l’industria mineraria, le società tech e le aziende automobilistiche, garantendo elevati livelli di trasparenza”. Questa la conclusione di Bryony Clear Hill.
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