Lo sviluppo tecnologico costituisce l’elemento chiave su cui puntare per favorire un miglioramento della qualità dell’aria nel nostro Paese, un problema che “ha varie origini e che deve essere affrontato con un’opportuna legislazione ambientale in grado di prendere in considerazione sia la qualità dei combustibili sia la manutenzione degli apparecchi per il riscaldamento, un elemento che ha un’importanza pari a quello della scelta dell’impianto”.
E’ stato questo uno dei temi sottolineati da Gabriele Migliavacca, – Responsabile Combustione e Ambiente di Innovhub Stazioni Sperimentali per l’industria (Camera di commercio Metropolitana di Milano, Monza- Brianza Lodi) che questa mattina ha presentato a Milano lo studio comparativo sulle emissioni di apparecchi a gas, gpl, gasolio e pellet realizzato dall’ente. Dalla ricerca, in particolare, è emerso come i piccoli apparecchi a alimentati a biomassa solida impattino in maniera rilevante sul valore delle emissioni inquinanti nel settore domestico, soprattutto per quanto riguarda sostanze come il benzo[a]pirene e il particolato.
“Abbiamo analizzato le caldaie a condensazione e sulle stufe a pellet perchè nel corso degli ultimi anni hanno avuto il maggior sviluppo tecnologico e la maggior crescita sul mercato, era utile cercare nuovi dati su queste tipologie di apparecchi”, ha spiegato Migliavacca.
La ricerca ha, inoltre, raccolto, una serie di dati sull’impatto ambientale di queste apparecchiature analizzando le performance in relazione al fattore “invecchiamento” e alla manutenzione effettuata. Da questo punto di vista è emerso, ad esempio, come per quanto riguarda l’invecchiamento degli apparecchi a pellet non ci sia una correlazione diretta tra la tipologia, la classe dell’apparecchio o il tipo di combustibile. L’abbassamento del livello delle performance sarebbe invece più legato a fenomeni di instabilità e degenerazione delle prestazioni.
“Se un giorno l’utente si dimentica di fare la pulizia quotidiana può verificarsi una variazione che può andare dal 10 fino al 100% della emissioni di PM. Basta che un giorno si sia dimenticato di fare le pulizie e si verifica un incremento, questo fenomeno tende poi a diventare cumulativo e può provocare degenerazione”, ha spiegato il ricercatore.
L’elemento chiave è quindi l’aumento della variabilità. “Gli apparecchi tendono a diventare sempre più instabili, perché lo sporcamento danneggia il corretto funzionamento del sistema” e si lega a un incremento molto significativo del benzopirene, pur nell’ambito di una variabilità molto grande.
Una molecola di zucchero per valutare l’impatto inquinante della legna
Tra le sostanze inquinanti un ruolo di primo piano, in base a quanto riportato nello studio, è rivestito da pellet e legna. Per quanto riguarda la legna, in particolare, è la chimica a dare un contributo con un marker specifico in grado di quantificare l’impatto ambientale di questa biomassa per quanto riguarda il PM. “La cromatografia ionica – ha spiegato Paola Fermo dell’Università degli Studi di Milano – ci permette di andare ad analizzare oltre a ioni inorganici (solfato di ammonio, nitrato di ammonio), anche un marker specifico che ci dice qual è il contributo delle emissioni della legna alla composizione del PM. Si tratta di uno zucchero, il levoglucosano, che ha una particolarità, ovvero è prodotto esclusivamente dalla pirolisi della cellulosa”.
Inquinamento ed effetti sulla salute
Le problematiche per la salute connesse alla cattiva qualità dell’aria sono state al centro dell’intervento di Carla Ancona del dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio che ha sottolineato come “l’inquinamento atmosferico sia il primo tra i fattori di rischio per la salute, tra quelli ambientali”.Tra le patologie legate a sostanze inquinanti presenti nell’aria che respiriamo ci sono i tumori al polmone, problemi cardiocircolatori, ma anche disturbi cognitivi.
In Italia, da questo punto di vista, la situazione non è delle migliori, ha spiegato Ancona citando i dati dello studio Viias del ministero della Salute. Da questi dati emerge infatti come “solo il 19% di tutti gli italiani viva in aree in cui si rispetta del limite di OMS del PM 2.5, una sostanza cancerogena, ovvero i valori siano sotto i limiti dei 10 micorgrammi per metro cubo. La stragrande maggioranza della popolazione vive, invece, in aree dove il il dato è superiore”.
L’impatto di questa situazione “è enorme, i dati parlano di 34 mila decessi annui attribuibili al pm 2,5 di cui 22500 nelle regioni del nord. Casi che si potrebbero essere evitati se fosse ridotto il livello di concentrazione di questa sostanza nell’aria”. A ciò si aggiunge il fatto che “per chi rimane la vita è può ridursi fino a 10 mesi, 14 per chi vive al nord”.
Italia prima in Europa per numero di decessi legati all’inquinamento
Un quadro, quello tracciato dall’epidemiologa, che risulta suffragato anche dai dati di un recente studio realizzato da Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ( su e7 avevamo dedicato un articolo alla ricerca con un commento del presidente di Assogasliquidi Francesco Franchi).
Ad illustrare i dati è stato nel corso dell’incontro Raimondo Orsini della Fondazione che ha spiegato come l’Italia, nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi decenni in termini di riduzione delle emissioni, presenti una situazione critica nel contesto europeo sul fronte della qualità dell’aria. Con più di 1500 decessi per milione di abitante legati all’inquinamento il nostro Paese presenta valori decisamente più alti rispetto alla media europea, pari a circa 1000 decessi, e a quelli delle altre grandi economie europee: 1100 decessi prematuri in Germania, 800 in Francia e Regno Unito , poco più di 600 in Spagna.
“L’Italia è la prima in Europa per numero di decessi, è la prima in Europa per incidenza sulla popolazione, abbiamo la peggiore performance europea sulla qualità dell’aria, sia in assoluto sia in termini relativi“, ha spiegato Orsini.
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