Quello delle bioenergie è un argomento di estrema attualità ed interesse. Il loro ruolo nello scenario rinnovabile italiano risulta evidente anche dall’ultimo rapporto statistico pubblicato dal GSE, Gestore dei Servizi Energetici, responsabile di rilevazioni sugli impieghi delle fonti rinnovabili nazionali.
Da questo rapporto emerge che l’uso delle biomasse solide nel settore termico ha un’incidenza di oltre 66% dei consumi diretti di energia da fonti rinnovabili. Questo contributo rilevante, proveniente dagli impieghi di biomassa solida, è legato alla grande diffusione di apparecchi alimentati da legna da ardere e pellet soprattutto nel settore residenziale.
La misura dell’impatto ambientale del riscaldamento a biomassa è un elemento essenziale nel valutare l’impatto di una strategia energetica. I ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Milano (Prof. Emanuela Corsini – Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali; Dott.ssa Laura Marabini – Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali; Ing. Senem Ozgen – Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale e Prof. Roberta Vecchi – Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Fisica “Aldo Pontremoli”) hanno realizzato uno studio volto proprio a contestualizzare l’impatto delle bioenergie.
Quale impatto per le bioenergie
L’utilizzo delle biomasse per la produzione di energia è senza dubbio favorito dalle strategie energetiche per le fonti rinnovabili e nel caso del riscaldamento domestico anche dal basso costo del combustibile rispetto ai combustibili di origine non rinnovabile. Bisogna tuttavia porre sufficiente attenzione anche all’impatto ambientale di questi impianti, come peraltro sottolineato dalla Strategia Energetica Nazionale adottata nel novembre 2017. La Strategia propone un uso delle biomasse solide per il riscaldamento e raffrescamento che deve tenere conto del problema ambientale emergente e dei potenziali effetti sulla salute. In relazione a queste problematiche, viene sottolineata la necessità di ridurre le emissioni di polveri sottili.
In quest’ottica, vari gruppi di ricerca appartenenti al Politecnico di Milano e all’Università degli Studi di Milano, hanno messo a sistema le loro differenti competenze specifiche per fornire informazioni utili a limitare possibili situazioni di rischio nell’uso delle biomasse solide ai fini energetici in impianti residenziali.
Le particelle ultrafini nella combustione di biomasse legnose domestiche
In un recente progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo denominato TOBICUP (TOxicity of BIomass COmbustion generated Ultrafine Particles), i gruppi di ricerca hanno valutato da un punto di vista chimico-fisico e di reattività biologica le particelle ultrafini (UFP, < 100 nm) emesse dalla combustione di biomasse legnose in generatori di calore ad uso domestico (stufe a pellet e stufe a legna). L’interesse per la frazione delle particelle ultrafini deriva dal fatto che allo stato dell’arte sono ancora molto scarsi i dati relativi a queste particelle, alle quali tuttavia si associa un potenziale elevato di indurre effetti negativi sulla salute dell’uomo: infatti particelle di dimensioni inferiori hanno maggior capacità di penetrazione nelle vie respiratorie più profonde, mentre componenti chimiche di origine antropica tendono a essere relativamente più abbondanti in questa frazione dimensionale del particolato.
L’approccio interdisciplinare utilizzato nel progetto e la sinergia di misure effettuate, sia in laboratorio sia a campo in un sito dove la combustione di biomasse risulta rilevante come fonte di riscaldamento nella stagione invernale, ha fornito preziose informazioni. Il tutto tenendo presente il duplice obiettivo da un lato di caratterizzare la composizione chimica delle UFP e dall’altro di determinare, utilizzando modelli in vitro rilevanti per gli effetti polmonari, l’attività biologica delle UFP con particolare attenzione allo stress ossidativo, ai danni al DNA e all’infiammazione. I parametri biologici sono stati scelti in quanto uno stress ossidativo è la causa più frequente del danno al DNA e di risposte infiammatorie. Un danno al DNA può essere predittivo di situazioni che possono potenzialmente evolvere verso un tumore, infine il rilascio di citochine pro-infiammatorie può scatenare effetti locali e sistemici, quali eventi cardiovascolari.
I risultati evidenziano che la stufa a pellet, grazie alla regolazione automatica della dosatura e alimentazione continua del combustibile, migliora il processo di combustione rispetto alla stufa a legna. Questo miglioramento si riflette anche alle emissioni di UFP nel senso che a parità di calore generata la stufa a pellet emette un particolato con un contenuto di idrocarburi policiclici aromatici praticamente assente e una minor reattività sia in termini di danno al DNA che di risposta infiammatoria rispetto alla stufa a legna. Al contrario la stufa a legna, soprattutto in presenza di situazioni critiche come accensione difficoltosa e combustione intensa, ha prodotto un particolato biologicamente più reattivo. Interessante è l’osservazione che i diversi componenti chimici presenti nel particolato hanno un ruolo diverso nell’effetto biologico: la genotossicità risulta correlata alla presenza di alcuni elementi, quali alluminio, ferro, e idrocarburi policiclici aromatici, mentre levoglucosano e suoi isomeri sono in grado di produrre biomarcatori che segnalano effetti infiammatori.
Le indagini svolte hanno evidenziato chiaramente come le condizioni di combustione, la composizione chimica e gli effetti tossicologici sono interrelati e che l’uso dei generatori di calore con regolazione automatica possa portare a un’efficace riduzione del potenziale tossicologico delle emissioni.
Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.