Sono passati ormai quasi trecento giorni dal 7 ottobre 2023, data che ha segnato l’escalation del conflitto nella Striscia di Gaza fra Israele e l’organizzazione palestinese Hamas. E il numero di morti è arrivato quasi a 40mila. Se l’area è inabitabile adesso, il rischio è che lo resti anche in futuro, secondo Greenpeace.
L’inquinamento di suolo, acqua e aria
Al di là dell’attuale mancanza di acqua potabile, che ha ridotto la disponibilità giornaliera da 85 a 2-8 litri pro capite, il mancato trattamento delle acque reflue e dei rifiuti solidi sta contribuendo a inquinare l’ambiente, con gravi pericoli per gli ecosistemi marini e la salute umana.
Terra bruciata: come rendere #Gaza inabitabile per le prossime generazioni#Cease_fire_In_Gaza_Now
via @Greenpeace_ITA https://t.co/MWHufGu7QI— Giuseppe Onufrio (@gonufrio) July 9, 2024
La distruzione di edifici, strade e altre infrastrutture ha generato oltre 39 milioni di tonnellate di detriti, stando al Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), alcuni dei quali risultano contaminati da ordigni inesplosi, amianto e altre sostanze pericolose. Sotto le macerie, sono sepolti anche resti umani.
L’aumento di emissioni e temperature
Si ritiene che le sostanze chimiche abbiano inquinato anche i terreni agricoli – a maggio 2024, il 57 per cento dei terreni coltivati di Gaza risultava comunque danneggiato – e l’aria. L’atmosfera si sta poi saturando di CO2: nei primi 120 giorni di guerra, sempre secondo l’UNEP, sono state emesse circa 536.410 tonnellate di anidride carbonica.
E questo rischia di aggravare gli effetti della crisi climatica che la regione si sta già trovando a fronteggiare: la temperatura media potrebbe aumentare di quattro gradi entro la fine del secolo, secondo le stime riportate dall’organizzazione Climate Refugees, esacerbando fenomeni come l’ondata di calore che ha interessato ampie porzioni del continente asiatico nel mese di aprile, causando anche la morte di migliaia di pellegrini diretti verso La Mecca.
La distruzione dell’ambiente come arma di guerra
Le lesioni all’ambiente possono essere impiegate anche come vere e proprie armi di guerra, per recare ulteriore danno ai civili. Nel caso di Gaza, come ha documentato Al Jazeera, tra gli ecosistemi presi di mira ci sono gli uliveti, particolarmente importanti per la popolazione sia dal punto di vista economico sia da quello culturale. Già prima dell’intensificazione del conflitto, nella Cisgiordania occupata, erano stati documentati casi di coloni israeliani che avevano attaccato i palestinesi nelle loro aziende agricole, rubando le olive e dando fuoco agli alberi. Nella Striscia, molti uliveti sono stati bombardati o irrimediabilmente danneggiati con i pesticidi.
CIEL statement on the @UNEP preliminary assessment of the environmental impact of the conflict in Gaza.
There can be no sustainable peace without addressing the root causes of environmental destruction and #HumanRights violations: https://t.co/rABXDrXky3 pic.twitter.com/ta6XDnSMEE
— Center for International Environmental Law (@ciel_tweets) June 20, 2024
Qualcosa di paragonabile si è verificato anche nel conflitto russo-ucraino: l’esercito russo ha attaccato centrali nucleari e idroelettriche, condutture e depositi di carburante e altre infrastrutture industriali in tutta l’Ucraina, provocando danni all’ambiente e gravi rischi per la salute umana, privando le persone dell’energia e del riscaldamento durante i mesi più freddi.
L’appello di Greenpeace
Ci sono ONG che hanno utilizzato il termine “ecocidio” per descrivere la distruzione deliberata dell’ambiente di Gaza: ricordiamo che l’Unione europea l’ha incluso nel diritto comunitario, intensificando le pene per i reati ambientali dai risultati “catastrofici”. “Di fronte a una situazione ormai quasi irreversibile, chiediamo un cessate il fuoco immediato e permanente”, ha dichiarato Sofia Basso, Research Campaigner Pace e Disarmo di Greenpeace Italia.
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“Nel lungo termine chiediamo invece il sostegno di donatori internazionali e regionali per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, valutazioni ambientali complete per il dopoguerra, una ricostruzione sostenibile incentrata sulla mitigazione del clima, sulle politiche di resilienza e sul coinvolgimento delle comunità. Inoltre, sono necessarie misure per riconoscere le responsabilità di Israele per i danni inflitti a Gaza in violazione dei suoi obblighi internazionali”, ha concluso Basso. Accanto alle perdite in termini di vite umane, che nessuna cifra potrà mai ripagare, ci sono infatti anche i costi economici del conflitto da considerare: secondo la Banca Mondiale, ammontano ad almeno 18,5 miliardi di dollari.
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