Per obiettivi Fit for 55 una “intera manovra finanziaria per 10 anni”

I numeri presentati da PwC Italia

In Italia le imprese pagano l’energia più del doppio della Francia, un terzo in più della Germania e il 38% in più della Spagna. I differenziali tra il nostro Paese e le altre borse elettriche europee si stanno allargando: ad ottobre, il prezzo elettrico italiano è stato pari a 128,44 euro/MWh, il 57% in più della Germania, 41% in più della Spagna e 135% in più della Francia. È l’allarmante scenario, con vista sugli obiettivi Fit for 55, che scaturisce dalle rilevazioni presentate il 26 novembre da PwC Italia, nell’ambito del ciclo di appuntamenti Italia 2024: Persone, Lavoro, Impresa, la piattaforma di dialogo promossa con il coinvolgimento di esponenti del mondo delle istituzioni e dell’impresa.

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Foto di Grégory ROOSE da Pixabay

Costi energetici: “Mix energetico non ci avvantaggia”

Le ragioni di questo quadro negativo sono da ricondurre a fattori sia strutturali sia contingenti: “In Italia costruire centrali e reti elettriche è sempre stato più difficile e costoso che all’estero, per le lunghe procedure di autorizzazione” si legge a commento nella nota stampa. Inoltre, “il mix energetico non ci avvantaggia: troppo sbilanciato sulle centrali termiche a ciclo combinato, che al momento generano l’energia più costosa”. A confronto, il nucleare della Francia, l’eolico e il carbone della Germania, le rinnovabili e il nucleare della Spagna costano meno.

 Il tema dei costi energetici, come evidenziato dalle recenti stime della Commissione europea ed evidenziate anche nel rapporto Draghi, delineano una difficoltà del comparto soprattutto a causa degli oneri associati: secondo i dati, dal 2021 ha subito un calo del 15% del proprio fatturato. Un fenomeno che “sta alterando l’industria energivora europea, portando all’aumento dell’import da Paesi con un forte vantaggio competitivo sui prezzi dell’energia”, tra l’altro molto più contenuti rispetto a quelli europei. Tra i settori che, nel 2022, hanno registrato una variazione della produzione industriale peggiore figurano le attività più energy intensive: chimica (-4,1%), metallurgia (-9,2%), minerali non metalliferi (-2,9%), carta (-1,0%).

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I costi degli obiettivi Fit for 55: i numeri di PwC Italia

Negli ultimi vent’anni, in termini di quota prodotta di energia elettrica da fonti rinnovabili, l’Italia ha fatto registrare una delle crescite più importanti dell’UE dopo Germania e Spagna: dal 15,9% del 2003 al 35,4% del 2022, con il 20,4% dell’energia consumata prodotta da fonti pulite. Considerando il complesso delle imprese attive nel sistema produttivo italiano, le società che operano in attività a rischio transizione alto o molto alto sono complessivamente 932.279, (il 17,6% del totale) e impiegano circa 2 milioni di dipendenti (l’11,6% del totale). Tra queste, risultano particolarmente numerose le ditte individuali (76,6%) e le aziende agricole (67,9%). Le analisi convergono nel segnalare che l’ordine di grandezza degli investimenti complessivi, necessari all’Italia per allinearsi ai nuovi obiettivi europei Fit for 55, sarebbe di circa 25 miliardi di euro annui, “ossia 1,2%-1,4% del Pil, praticamente l’intera manovra finanziaria per i prossimi 10 anni dovrebbe essere investita sulla transizione” evidenzia la nota.

Per realizzare la transizione energetica nel settore elettrico in Italia viene stimato un fabbisogno di investimenti al 2030 pari a 152,5 miliardi di euro, di cui 9,94 miliardi per il settore elettrico e 5,31 miliardi per le infrastrutture all’anno. Per il settore trasporti sono 670,2 i miliardi necessari in totale, di cui su base annua 53,9 miliardi per ammodernare il parco auto endotermico (euro7) e la transizione ai veicoli elettrici, 3,5 miliardi per il trasporto pubblico locale (autobus), 9,4 miliardi per il trasporto merci e 0,15 miliardi per i treni a idrogeno. Infine, in merito al settore industriale, tenendo conto degli investimenti di riconversione produttiva delle raffinerie e dell’effetto su tutto l’indotto economico, la stima per l’intero comparto sarebbe fino a 6 miliardi medi annui al 2030: di questi, 700 milioni annui sarebbero necessari solo per il settore siderurgico, chimico, minerali non metallici e cartiero.

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