Non se ne conoscono tutte le specifiche, ma sappiamo che ci sarà: il nuovo ministero della Transizione ecologica, introdotto di recente dal neonato Governo del premier Mario Draghi, è ancora oggi una creatura misteriosa, forse ibrida, con poteri e potenzialità sconosciuti.
Eppure l’Italia non è né il primo né l’unico Paese ad aver scelto di dar vita a questo ministero: in Europa si contano già altri 4 Stati, Francia, Spagna, Belgio e Svizzera, che hanno adottato questo tipo di “soluzione istituzionale” per agevolare la transizione verso nuovi paradigmi green.
Ministero della Transizione ecologica: l’esperienza francese
Il ministère de la Transition écologique et solidaire è stato istituito in Francia nel 2017 e “inaugurato” dal ministro (ex giornalista e conduttore tv su programmi a tema ambientale) Nicolas Hulot. Dimissionario nell’agosto del 2018 a causa di presunte pressioni da parte delle lobby sull’Eliseo che, a detta di Hulot, remava contro la transizione ecologica, al punto da bloccare alcuni dossier del Ministero stesso. Il riferimento alla solidarietà nel nome sta ad indicare il legame imprescindibile tra un modello di sviluppo sostenibile e la giustizia sociale.
La vera svolta storica del ministero della Transizione ecologica francese arriva a novembre 2018, a seguito dell’annuncio dell’ecotassa sui carburanti inquinanti (in particolare sul diesel) in nome della fiscalità ecologica: azione che avvierà una serie di proteste della cittadinanza soprattutto fuori dall’Ile de France meglio noti ai clamori della stampa come “movimento dei gilet gialli”.
In seguito il presidente Macron ha voluto correggere la rotta, promuovendo un rinnovato impegno ambientalista da parte della Francia. A oggi il risultato più significato è rappresentato dal lancio della Convenzione per il clima, una piattaforma creata a fine 2019 per raccogliere proposte da parte di cittadini estratti a sorte per ridurre di almeno il 40% le emissioni di gas serra entro il 2030. Oggi conta 149 proposte alcune delle quali recepite in un progetto di legge (che include, ad esempio, il divieto di pubblicità per le energie fossili).
Oggi il ministère de la Transition écologique et solidaire, guidato dalla ministra Barbara Pompili, si occupa di politiche di protezione dell’ambiente, di trasporti, energia ma anche di politiche abitative e di difesa della biodiversità. Gestisce circa 50 miliardi all’anno. Nell’ultima manovra economica, il suo bilancio è arrivato a 48,6 miliardi (+1,3 miliardi di euro rispetto all’anno precedente), di cui 15,4 dedicati esclusivamente alla transizione, 16 alla politica abitativa e 8 ai trasporti.
Il caso spagnolo: il Ministero per la transizione ecologica e la sfida demografica
Storia diversa per la Spagna. Qui il ministerio para la Transición Ecológica y el Reto Demográfico (Ministero per la transizione ecologica e la sfida demografica) persegue, dalla sua creazione nel 2018, come obiettivi principali l’approvazione di una legge sui cambiamenti climatici e la creazione di un piano energetico nazionale che interessi i prossimi 10 anni di sviluppo del Paese da presentare all’Unione europea.
Affidato dal premier Pedro Sanchez a Teresa Ribeira Rodriguez, il Ministero ha assunto le funzioni che in precedenza appartenevano al ministero dell’Agricoltura e a quello dell’Energia. Collegati direttamente ad esso sono l’Istituto per la giusta transizione e l’Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico (Idae) con il Fondo nazionale per l’efficienza energetica.
Tra gli obiettivi raggiunti si annovera un accordo storico con sindacati e imprese per la chiusura delle miniere di carbone. C’è ancora tanto da fare: nonostante le recenti decisioni, strategiche in campo energetico per la decarbonizzazione del Paese, la strada per uniformarsi alle disposizioni dell’Accordo di Parigi del 2015 è ancora lunga.
L’importanza crescente in Europa di un Ministero per la transizione ecologica
Fortemente voluto dal MoVimento 5 Stelle, il ministero per la Transizione ecologica di casa nostra nasce anche da motivazioni strettamente legate all’attuale situazione socio-economica europea.
L’ipotesi principale è che possa avere responsabilità nella gestione dei fondi del Recovery fund. Nonostante sia svanita la possibilità che inglobasse le funzioni del ministero dello Sviluppo economico, il neonato Ministero potrebbe potenziare avere nuove competenze in politica energetica rispetto al passato e con maggiori fondi a disposizione, inclusi quelli previsti per la transizione ecologica nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè il programma di spesa dei fondi del Recovery fund.
La transizione ecologica è una delle principali richieste presenti nelle linee guida dell’Unione europea sul Next generation EU, oltre che una delle prime voci di spesa richieste dall’UE a chi riceverà i fondi europei. Programma su cui sono previsti fondi, per l’Italia, pari a circa 220miliardi di euro. Per ottenerli come ha ricordato anche il premier Mario Draghi ieri in Senato servono riforme importanti in linea con gli obiettivi promossi dal Green deal europeo che ha tra i suoi pilastri proprio la transizione ambientale.
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