La silenziosa e rapida escalation verso l’Artico

I tesori e i player che si contendono le rotte Artiche e suoi tesori

Nell’immaginario comune il freddo dei ghiacci e il bianco della neve sono le due caratteristiche che contraddistinguono la regione artica; regione spesso ignorata nella cultura popolare perché inospitale, algida e desertica. Nulla di più vero, impossibile negarlo, l’Artico è freddo e inospitale ma forse è proprio questo il motivo per il quale è ad oggi di così grande interesse. L’avidità del territorio ha fatto si che per millenni l’essere umano lo ignorasse, permettendogli nell’indifferenza comune di celare i propri tesori sotto metri di ghiaccio, lontano da occhi indiscreti. Ad oggi però la coperta di ghiaccio con cui l’artico ha custodito le proprie ricchezze sta venendo indirettamente strappata via proprio da coloro che l’hanno sempre ignorata, mostrando al mondo le sue vaste risorse naturali non ancora sfruttate. Piatto prelibato per coloro che ne intravedono le grandi opportunità economiche frutto malsano della crescente accessibilità data dai cambiamenti climatici.

Negli ultimi decenni quindi, l’artico è diventato un’area di interesse incrementale per le potenze mondiali che osservandola denudarsi, non hanno più resistito alla tentazione di sfruttarla. Secondo recenti stime, la regione custodisce circa il 13% delle riserve globali inesplorate di petrolio e ben il 30% di quelle di gas naturale, fattori che hanno chiaramente acceso l’interesse internazionale e trasformato l’Artico in un terreno fertile per nuove rivalità economiche e politiche.

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Mappa “Potential oil and gas fields in the Arctic.” Fonte Arctic Portal, “Servicing the Arctic” (Arctic Portal, 2011), https://blog.dv.is/wp-content/uploads/sites/97/2012/05/Drekiarea_baeklingur.pdf

La Russia nell’Artico

La Russia, grazie alla sua estesa linea costiera nel nord, domina indubbiamente il territorio occupandone ben il 53%. Il gigante rosso controlla circa l’8% delle riserve mondiali totali di idrocarburi e detiene il 17% delle risorse non ancora scoperte di petrolio e gas. Mosca ha dichiarato apertamente di considerare l’Artico come un futuro “El Dorado” economico, puntando a trasformare la Siberia in un hub logistico-commerciale di rilevanza globale, partendo dallo sviluppo della Northern Sea Route. Questa rotta marittima, resa sempre più navigabile (anche nei mesi invernali) dal progressivo scioglimento dei ghiacci, rientra nei piani sino-russi di sviluppo economico principalmente in funzione della più ampia “Belt and Road Initiative” cinese. L’apertura parziale della rotta è stata ad oggi possibile a causa dell’assottigliamento e della riduzione della superficie dei ghiacci. Il calo nell’estensione della calotta glaciale è stato costante a partire dal 1980 quando la sua superficie risultava essere di 7 milioni di chilometri quadrati; 42 anni dopo, nel 2022 se ne è registrata una riduzione progressiva di circa il 39%, con un picco particolarmente allarmante nel 2012, anno in cui la diminuzione dei ghiacci ha raggiunto quasi il 70%. Questa riduzione ha aperto la strada alla possibilità di un passaggio sicuro persino durante il periodo invernale, senza bisogno dell’ausilio di navi rompighiaccio esterne a supporto. È il caso, ad esempio, di tre navi Arc7 ice-class Liquefied Natural Gas, adibite al trasporto di gas naturale liquefatto, che per la prima volta nella storia dell’uomo sono riuscite ad attraversare l’Artico in inverno senza necessità di supporti esterni, nel gennaio 2021.

Quella che sembra a tutti gli effetti essere una postura ottimista da parte della Russia nell’Artico, dato il vasto controllo del territorio, si scontra con la realtà geopolitica sempre più tesa. La guerra in Ucraina ha bruscamente interrotto la tradizionale cooperazione internazionale nell’ambito del Consiglio Artico, spingendo i sette paesi membri a sospendere i rapporti con Mosca. Questa rottura ha intensificato la competizione nella regione, aumentando la percezione di una possibile escalation di tensioni e conflitti.

Le nuove rotte navali della Cina

Come accennato, anche la Cina si affaccia con crescente determinazione nello scenario. Pechino, si definisce uno stato “quasi-artico” e promuove ambiziosi progetti infrastrutturali come la Polar Silk Road, formata da una serie di rotte artiche che come nel caso della Northern Sea Route si stanno aprendo in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, consolidando (per ragioni prettamente infrastrutturali e logistiche) la presenza cinese in partnership con la Russia, ma anche cercando opportunità commerciali con Europa e Nord America. Queste nuove rotte potrebbero rivoluzionare il commercio tra Europa e Asia, riducendo significativamente tempi e costi di trasporto del 30-50% pari a 14-20 giorni di navigazione in meno, nonché riducendo i rischi di pirateria altrimenti elevati nelle classiche rotte passanti per lo stretto di Malacca e per il golfo di Aden, tappe obbligate per le navi mercantili provenienti dall’Est. La prospettiva di sfruttare economicamente la regione artica incoraggia l’UE a promuovere una gestione sicura e stabile di queste rotte, essenziale per valorizzare economicamente l’area senza compromettere la sua stabilità geopolitica. Tuttavia una piccola frenata nella cooperazione tra Europa e Cina si è avuta anch’essa a causa dello scoppio del conflitto in Ucraina, l’UE attraverso una nota rilasciata sul proprio portale “The Diplomatic Service of the European Union” ha dichiarato che intenderà continuare la propria cooperazione nell’artico solamente con “…like-minded interlocutors…” che condannino l’ingiustificata aggressione di Russia e Bielorussia nei confronti dell’Ucraina, cosa che la Cina non sembra aver fatto, dato che addirittura secondo rapporti delle Forze Armate finlandesi, nel settembre 2023 una nave cinese che transitava attraverso la Rotta Artica sarebbe giunta nel Mare del Nord, dove sarebbe stata coinvolta nel danneggiamento del gasdotto Nord Stream, per poi fare ritorno utilizzando la stessa rotta.

La possibili crisi di confini con la Russia

Ma per quale motivo quindi l’artico risulta ad oggi essere uno scenario geopolitico in crescente agitazione? A sorpresa di assolutamente nessuno, la Russia è ancora una volta la forza dirompente all’interno di dinamiche fino ad oggi pacifiche. Come accennato precedentemente, il 53% dell’artico risulta essere russo, tuttavia il Cremlino non riconosce i confini costieri tradizionali previsti dall’UNCLOS come punto di partenza per stabilire le proprie acque territoriali e la propria zona economica esclusiva, ma rivendica invece un’ampia porzione dell’Artico entro cui ricadrebbe anche la stragrande maggioranza della Northern Sea Route, con tutte le implicazioni che comporterebbe il transito nelle acque nazionali russe, oltre che ampi depositi di petrolio e gas naturale. Inoltre, non può essere ignorata la presenza della Flotta del Nord russa, con base a Severodvinsk nella penisola di Kola, che ospita gran parte dei sottomarini nucleari equipaggiati con missili balistici e che costituisce la componente marittima della triade strategica nucleare russa. Non solo quindi una rotta passante per acque nazionali russe non sarebbe sicura, ma economicamente risulterebbe essere anche poco conveniente data l’enorme ZEE nella quale dover pagare dazi. Ma il motivo per il quale la Russia ha interesse ad espandere le proprie acque nazionali non è principalmente per il controllo potenziale della rotta, ma per ristabilire un’egemonia militare in quella che è stata storicamente un’area sotto la propria giurisdizione per conseguentemente sfruttarne le ricchissime risorse naturali.

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Mappa “ Territorial Claims in the arctic” fonte IBRU, Durham University; Ministry of Foreign Affairs of Denmark

Rapporti dell’intelligence norvegese indicano che la Russia sta armando i propri sottomarini con testate nucleari tattiche per la prima volta dalla Guerra Fredda. Questo dato, unito all’aumento delle esercitazioni militari da parte dei paesi NATO nella zona, suggerisce come la prossima apertura della rotta artica possa portare a un’accentuazione delle tensioni nel territorio, intensificandone la militarizzazione.

Gli scenari di deterrenza dell’Artico

L’Artico rappresenta inoltre uno scenario di deterrenza su più livelli: oltre alla protezione delle risorse naturali, la presenza militare mira a scoraggiare attori esterni e prevenire conflitti, specialmente in un contesto caratterizzato da risorse energetiche limitate e crescente competizione geopolitica. Nonostante la retorica collaborativa, la Russia mantiene una posizione isolata e contraria all’influenza della NATO e di altre potenze non artiche nella regione al fine di raggiungere l’obbiettivo di ottenere il monopolio nel mercato energetico europeo sfidando altre grandi potenze energetiche, come i paesi dell’OPEC. Se le enormi risorse energetiche artiche finissero totalmente in mano russa, la Russia da sola avrebbe il controllo di oltre il 29% degli idrocarburi totali mondiali, con il potenziale per arrivare ad avere fino al 37,5%. Tutte le nazioni artiche rivendicano una porzione del territorio della calotta polare, principalmente spinte dal desiderio di sfruttarne le risorse naturali e gli idrocarburi proprio come Mosca.

Tuttavia, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare nessuna di queste nazioni avrebbe di fatto il diritto di estendere la propria Zona Economica Esclusiva oltre le 200 miglia nautiche. Dal 2001, la Russia sostiene che le dorsali sottomarine di Lomonosov e Mendeleev siano naturali estensioni del continente eurasiatico, basando le sue affermazioni su dati geologici e geofisici per tentare di estendere la propria piattaforma continentale. Nonostante le controversie, la Russia ha proseguito nel sostenere le proprie richieste attraverso i meccanismi legali previsti dalla Commissione sui limiti della piattaforma continentale (CLCS) dell’UNCLOS, anche se le raccomandazioni della CLCS hanno richiesto ulteriori approfondimenti e revisioni della documentazione iniziale. Il riconoscimento formale di una tale estensione potrebbe costituire un precedente importante al quale anche le altre potenze artiche potrebbero appellarsi, modificando in modo definitivo la fisionomia della regione. Data poi la postura russa in seguito al conflitto in Ucraina, non è da escludere il concreto rischio che, in assenza di un accordo condiviso, la Russia possa decidere di forzare la mano e rivendicare unilateralmente le aree di suo interesse, costringendo così le Nazioni Unite e gli altri paesi del Consiglio Artico a decidere se rispondere imponendo il rispetto delle norme attraverso manovre militari o economiche, oppure rischiare un’escalation preventiva, occupando un’area che formalmente è ancora riconosciuta come acque internazionali.

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Mappa “restringimento Ghiacci” fonte “Arctic and Antarctic end-of-season report – October 2023,” Met Office, June, 2023, https://www.metoffice.gov.uk/research/approach/monitoring/sea-ice/2023/arctic-and-antarctic-end-of-season-report—october-2023.

È quindi chiaro come una serie di fattori antropocentrici abbia portato la situazione a quella che sembra essere a tutti gli effetti una silenziosa e rapida escalation. Lo scioglimento dei ghiacci causato dalle attività umane ha aperto opportunità economiche sia dal punto di vista logistico che da quello estrattivo, la guerra in Ucraina ha fatto si che paesi come Svezia e Finlandia interrompessero la propria neutralità ed aderissero alla NATO esacerbando, con esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti, le tensioni nell’area e creando una vera e propria frattura in una regione che ha storicamente fatto della cooperazione il suo punto di forza. Un acuto osservatore potrebbe pensare che la cooperazione è durata fintanto che l’artico non rivelasse i suoi tesori, e probabilmente avrebbe ragione.


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