“L’80 per cento delle emissioni di gas serra generate dalle attività umane proviene dal settore dell’energia o, meglio, dai combustibili fossili. Senza la transizione energetica, non è possibile contrastare in maniera efficace la crisi climatica”.
Lo ha ribadito Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (International Energy Agency, IEA), nel corso del webinar organizzato il 22 marzo dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM).
Scopo del seminario, intitolato “From COP28 to COP29: the Italian road for a sound transition” era quello di fare il punto sui traguardi raggiunti e quelli ancora da raggiungere nell’ambito della transizione ecologica.
I cinque obiettivi più importanti secondo l’IEA:
- triplicare la capacità rinnovabile entro il 2030;
- raddoppiare il tasso di efficientamento energetico;
- ridurre le emissioni di metano del 75 per cento;
- rinunciare ai combustibili fossili;
- creare meccanismi di finanziamento della transizione energetica nei Paesi in via di sviluppo.
Il ruolo dell’Italia, alla presidenza del G7
“Nel documento finale della COP28 è stato inserito un riferimento alla necessità di fuoriuscire dall’era dei combustibili fossili. Quasi duecento Paesi l’hanno firmato e speriamo che manterranno la parola data. L’IEA aiuterà i suoi membri a raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati. Organizzeremo una serie di high level dialogues con il governo dell’Azerbaigian in preparazione alla COP29 di Baku”, ha dichiarato Birol.
“E l’Italia, essendo alla presidenza del G7, giocherà un ruolo importante in questo percorso. Con il Piano Mattei, potrà contribuire alla transizione ecologica dell’Africa subsahariana, dove ogni anno 500mila donne muoiono prematuramente a causa dei metodi inquinanti che usano per cucinare”, ha concluso Birol. Francesco Corvaro, Inviato speciale italiano per il clima, ha confermato che il tema della finanza climatica sarà al centro della COP29.
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La geopolitica degli investimenti nell’energia pulita
Il dibattito legato ai termini da usare in riferimento ai combustibili fossili – phase down, phase out e transition away – ha dimostrato quanto la scelta delle parole sia importante nel dibattito internazionale: si tratta di un parametro da tenere in considerazione quando si valuta il successo di una COP. È importante però guardare anche ai numeri, come ha spiegato Enzo Di Giulio, preside della Scuola Mattei.
Di Giulio ha mostrato, grafici alla mano, come le economie avanzate debbano lavorare di più sul finanziamento della transizione energetica negli altri Paesi. “I mercati emergenti e le economie in via di sviluppo (Emerging Markets and Developing Economies, EMDE) ospitano due terzi della popolazione globale e contribuiscono a più di un terzo del PIL, ma rappresentano soltanto il 15 per cento degli investimenti nell’energia pulita”, ha detto Di Giulio.
Il caso dell’Africa
L’Africa è senz’altro una delle regioni che necessitano di maggiori investimenti. “Considerando soltanto i gas serra derivanti dall’energia e dall’industria, e non quelle generate dal cambiamento nell’uso del suolo, il continente contribuisce soltanto al 3,8 per cento delle emissioni globali”, ha spiegato Federico Pontoni, direttore del programma di ricerca Technologies for Energy Transition.
“Tuttavia, le conseguenze della crisi climatica sono peggiori che altrove”. Il Corno d’Africa sarà l’area maggiormente esposta alle ondate di calore; la gran parte del continente africano assisterà, inoltre, a un drammatico incremento dei periodi siccitosi. Questo avrà un impatto sull’agricoltura, sull’economia e sulle vite delle persone.
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L’indicatore RICE-MED
Per valutare l’impatto della crisi climatica sul PIL dei Paesi del bacino del Mediterraneo e del Corno d’Africa, la FEEM ha messo a punto un indicatore chiamato RICE-MED. “Per esempio, l’aumento della temperatura media è associato a rese inferiori per i produttori agricoli” e questo, chiaramente, si traduce in un danno economico.
I ricercatori hanno anche studiato la correlazione fra siccità e deforestazione nella Repubblica Democratica del Congo: se la scarsità d’acqua si verifica nel periodo della semina, i tassi di deforestazione si riducono perché la foresta si trasforma in un insieme prezioso di risorse che la popolazione può sfruttare come sistema di compensazione. Se invece la siccità si verifica durante il periodo di raccolta, i tassi di deforestazione aumentano, poiché diminuiscono i costi-opportunità dell’espansione delle aree agricole a discapito delle foreste.
Il nuovo target relativo alla finanza climatica
Tutto questo per dire quanto sia fondamentale investire anche nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici per consentire agli abitanti dei territori più vulnerabili di prevenire e mitigare i danni peggiori.
“Se l’introduzione dell’UAE Framework for Global Climate Resilience ha rappresentato un importante passo avanti nella giusta direzione, ora è necessario concentrarsi anche sul New Collective Quantified Goal on Climate Finance (NCQG), un nuovo obiettivo che la comunità internazionale dovrà prefissarsi entro il 2025, per aumentare gli investimenti per il clima”, ha concluso Pontoni.
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