La seconda parte del Blue Economy Summit di Milano, l’8 giugno, si è aperta con una sessione che ha messo in luce la dipendenza degli esseri umani dalle risorse naturali, specialmente quelle offerte dagli oceani, con testimonianze concrete. “I cambiamenti climatici stanno impattando molto sulla vita delle donne che vivono nei Paesi africani, e non solo. Molte di loro, per esempio, sono costrette a percorrere sempre più chilometri per procurarsi l’acqua. E c’è in gioco la sicurezza alimentare delle loro famiglie”, ha dichiarato Ruth Richardson, segretaria generale dell’International Network of Liberal Women. Ecco perché la crisi climatica è anche una questione di genere. Con i giusti strumenti, le donne hanno il potere di cambiare il futuro del Pianeta.
Il caso della Sardegna
Le politiche ambientali, dunque, devono necessariamente tenere conto degli aspetti sociali. È qualcosa di cui i sindaci devono essere consapevoli, considerando il ruolo delle città nella lotta contro il riscaldamento globale. A partire dalle località costiere. “Il sindaco ha il ruolo di presidiare il proprio territorio, portando avanti delle iniziative pratiche contro l’erosione costiera e l’inquinamento delle acque, a favore di un turismo sostenibile. Parallelamente, deve declinare le grandi iniziative internazionali, concretizzandole nel contesto locale e coinvolgendo la comunità”, ha commentato Roberto Ragnedda, sindaco di Arzachena, in Sardegna. Per far sì che i sindaci avessero uno spazio dove condividere le criticità, ma anche le buone pratiche, è nato il network G20s delle spiagge italiane, vale a dire la rete nazionale delle destinazioni balneari con almeno un milione di presenze turistiche.
L’esempio delle Isole Marshall e degli altri “hope spots”
Il turismo sostenibile e l’economia blu sono centrali per la Repubblica delle Marshall, che si trova nell’Oceano Pacifico settentrionale e si compone di ventinove atolli e cinque isole. “I nostri antenati ci hanno insegnato che viviamo grazie all’oceano. Gli esseri umani sono parte della natura”, ha dichiarato Kitlang Kabua, Ministra degli Affari Esteri e del Commercio. Gli abitanti del suo Paese ci insegnano che convivere in armonia con le altre specie è possibile. L’atollo di Wotho è uno degli “hope spots” che l’organizzazione Mission Blue ha identificato come luoghi ecologicamente unici e cruciali per la salute dell’oceano. Ce n’è uno anche in Sardegna, presso il canyon di Caprera.
Dalla speranza all’azione
È proprio sul concetto di speranza che si è concentrato l’intervento di Sylvia Earle. L’oceanografa, nonché presidentessa di Mission Blue, si è collegata in streaming dalla sede delle Nazioni Unite a New York, dove si sono svolte le celebrazioni ufficiali della Giornata mondiale degli oceani. “Abbiamo cominciato a esplorare lo spazio, ma non abbiamo ancora finito di esplorare l’oceano. Lo conosciamo ancora pochissimo, ma sappiamo che non è fatto solo di acqua e rocce: l’oceano è vita. E abbiamo la tecnologia e le conoscenze per proteggerlo. Non dobbiamo smettere di sperare, perché la natura è resiliente. Dobbiamo agire”.
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Ridurre le emissioni di gas serra è il primo passo, come ha sottolineato Kilaparti Ramakrishna, direttore del Marine Policy Center della Woods Hole Oceanographic Institution: oltre alla conoscenza, “servono fondi”. Ecco che ritorna il ruolo del settore privato, e il cerchio si chiude. Lo stesso che si chiude ogni giorno sul nostro Pianeta, come ha ricordato in conclusione Dawa Steven Sherpa, membro del CDA della Bally Peak Outlook Foundation. “Le montagne dell’Himalaya sono considerate le torri d’acqua dell’Asia, per via delle nevi e dei ghiacciai. Anche quell’acqua, però, viene dall’oceano”. Dagli ottomila metri sopra il cielo agli ottomila metri sotto il mare, gli ecosistemi “non sono solo collegati, ma interdipendenti”.
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