Dopo venti anni l’Italia ci riprova. “Si parlava di economia dell’idrogeno già 20 anni fa. Oggi ci stiamo rendendo conto che per sviluppare un mondo intorno a questo vettore energetico ci deve essere la compartecipazione di parti diverse”. La considerazione del presidente dell’Associazione italiana di ingegneria chimica-Aidic Giuseppe Ricci, negli interventi iniziali del convegno “Potenzialità della filiera dell’idrogeno nel contesto della transizione energetica”, organizzato il 30 settembre insieme a Wec Italia, offre una bussola nelle riflessioni che circondano le potenzialità della filiera dell’idrogeno nel contesto della transizione energetica.
Chiarisce che a livello europeo, ma anche di singoli stati membri, esistono diverse tecnologie che vanno migliorate, senza tralasciarne nessuna. Chiarisce che bisogna pensare all’idrogeno come fonte complementare alle altre, e non sostitutiva. Chiarisce che dagli esempi concreti già in circolazione – il camion a idrogeno in Svizzera, il treno in Germania e nei Paesi Bassi – bisogna permeare anche i settori cosiddetti “energy intensive”. Settori più difficilmente elettrificabili per i quali serve la collaborazione di tutti gli attori della filiera e l’accantonamento del sentimento competitivo nazionalista.
Le risorse per l’idrogeno
Il momento storico è propizio. Sul piatto ci sono i fondi europei del Recovery fund oltre alle risorse già esistenti destinate alle tecnologie innovative, ha ricordato Gilberto Dialuce, a capo della direzione generale Infrastrutture e sicurezza dei sistemi energetici e geominerari al ministero dello Sviluppo economico. In più, afferma, saranno lanciati “bandi specifici e consultazioni pubbliche per raccogliere i pareri dei diversi settori su questa sfida”. Strumenti che forse consentiranno di recuperare il ritardo accumulato nell’elaborazione di una politica nazionale. Carsten Rolle, executive director, german member Committee of the World energy, ha mostrato che oggi la Spagna, il Portogallo e la Francia sono forti di questa politica, mentre Russia e Giappone sono ormai prossimi.
Si aggiunge il fatto che l’UE ha lanciato la partnership sul Clean hydrogen, ha spiegato Marcello Capra, delegato Set plan UE del Mise, che sostituirà il lavoro per la ricerca fatto negli ultimi 14 anni dalla Joint undertaking. A questo si sommano l’Innovation fund, finanziato con le revenue dell’Emission trading system, e un bando dentro Horizon 2020 che destina 1 miliardo di euro ad ambiente, clima, energia e trasporti.
Normativa e regolazione
Come qualsiasi altra tecnologia innovativa, ha spiegato Stefano Besseghini, presidente Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), l’idrogeno “stimola la normativa”. L’Arera è oggi impegnata nell’analisi dei risultati di una consultazione pubblica sulla gestione innovativa della rete gas, ha spiegato il presidente, e vaglia la trasmissione dell’H2 sotto forma di miscela attraverso l’infrastruttura esistente. Una volta fissati, a livello regolatorio e normativo, alcuni principi si potrà compiere il salto di qualità per la creazione di un “contesto certo per gli investitori”, ne è certo Alberto Dossi, presidente dell’associazione H2IT.
Idrogeno grigio, blu e verde per la transizione energetica
Il passaggio dalla produzione dell’idrogeno grigio prodotto da fonti fossili, ad oggi la soluzione più economica, all’idrogeno rinnovabile, pilastro della neutralità climatica al 2050, non sarà breve. Nel mezzo, come soluzione di breve-medio periodo, c’è l’idrogeno blu: prodotto sì da fossili ma abbinato a sistemi “depurativi” di sequestro e cattura del carbonio.
La partita si gioca sul costo e sull’impatto ambientale
Oggi, ha spiegato Marco Parigi, piel global sales manager di McPhy, per produrre 1 kg di idrogeno grigio si immettono 10 kg di CO2 nell’atmosfera. “Con l’elettrolisi ci si ferma a 4/5 kg. Davanti a noi c’è un percorso ampio e un mercato da conquistare”. L’obiettivo di McPhy è di ridurre il prezzo dell’idrogeno pompato nelle stazioni di rifornimento da 5 a 1,8 euro al kg.
Considerato che con 1 kg di idrogeno si possono percorrere 130 km e che la volontà di decarbonizzare i trasporti incontra due interessi complementari: “L’associazione Hydrogen Europe sta studiando la possibilità di usare un corridoio scandinavo-Mediterraneo per il trasporto di merci e persone”, ha dichiarato Michele Ziosi, vp Institutional relations Europe, Middle East, Africa and Asia Pacific di Cnh industrial.
Oltre a contenerne l’impatto ambientale, l’Ue chiede di dimezzare i costi di produzione dell’H2 entro il 2030. Quando sarà economico l’idrogeno costerà tra i 2 euro e i 2,50 euro al kg. Questo consentirà anche di abbassare il costo finale del prodotto: la Mirai Toyota con tecnologia full cell system, oggi prevalentemente usata per il noleggio, ha un prezzo di mercato di circa 70 mila euro, ha detto Andrea Saccone, communication and external affairs general manager. “La prossima generazione di Mirai costerà meno, l’autonomia sarà migliorata del 30% e l’efficienza sarà più alta – ha assicurato – La Terza generazione del 2025, ha già dichiarato Toyota, avrà lo stesso costo di altri modelli simili sul mercato”. Un mezzo alla portata di tutti se confrontato con il rover lunare che Toyota conta di lanciare entro il 2029.
Idrogeno circolare dai rifiuti
Per ridurre i costi di produzione si sta studiando “la produzione di idrogeno dai rifiuti”, ha detto Gaetano Iaquaniello, chairman di NextChem. Quest’ultima è una soluzione sulla quale sta lavorando con Eni. La strategia del colosso energetico, ha spiegato Luigi Gargiulo, sustainable mobility manager, “prevede tutti i percorsi di produzione di low hydrogen”.
Al momento Eni usa l’H2 “per trasformare crude oli e per rimuoverne i contaminanti”. Ma punta sull’idrogeno “circolare” prodotto dalla frazione residua di rifiuti plastici, il plasmix, e dal combustibile solido secondario, che in Italia ammonta a 1 milione di tonnellate. Il colosso, poi, sta lavorando sull’infrastruttura, che l’Italia con la Dafi (2016) ha promesso di implementare: due i punti di rifornimento a idrogeno in costruzione a Venezia e San Donato Milanese.
L’estate calda dell’idrogeno e l’opportunità da non sprecare
L’ultima estate si può definire l’estate calda dell’idrogeno e la spinta data dalla Strategia europea alla transizione energetica è stata tangibile: tanti gli accordi chiusi e i progetti partiti o in partenza. Gli attori della filiera italiana concordano sul bisogno di partire dal consolidamento dell’utilizzo dell’idrogeno nei settori a più facile pervasività (trasporto pesante, chimica e acciaio) per arrivare a cascata in quelli più difficilmente elettrificabili (trasporto leggero, riscaldamento condominiale).
L’attrattività dell’H2 è data dalla sua peculiarità rispetto ad altri vettori, ha aggiunto Mario Marchionna, corporate head of technology innovation di Saipem: “È più reattivo, è meno denso e ha cicli inversi di compressione ed espansione rispetto al metano”.
Superato lo scoglio dello storage – “il problema è la molecola a bassissima densità”, ha anticipato il professore Romano Giglioli del dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni dell’università di Pisa -, e vagliando l’opportunità dei “giacimenti salini”, ha detto Paolo Deiana, referente attività P2X di Enel, si potrà accelerare la sinergia delle competenze.
Architettura di sistema, logistica, componentistica, “oggi si ha l’opportunità di pianificare e gestire il sistema dell’energia come fosse un tutt’uno, con una completa osmosi tra i diversi settori”, ha concluso Guido Bortoni, dg energy european commission. “Nella strategia europea Energy system integrator, l’idrogeno è la base di 3 dei 6 pilastri. Consente di compensare i talloni d’Achille del vettore elettrico: non è adatto a tutti i settori, scarsa programmabilità”. Per non lasciarsi più sfuggire questa opportunità e vincere la partita.
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