Il comparto idrico italiano si caratterizza per un gap in termini di prestazioni tra nord e sud del Paese. Gli effetti di questo “Water divide” si ripercuotono sullo stato delle infrastrutture e sui livelli dei servizi assicurati nel Mezzogiorno. Si tratta di una situazione che è frutto della copresenza di diversi elementi: “Governance fragile inefficace e inesperta; frammentarietà delle realtà operanti nel comparto; carenza di operatori che lavorino secondo logiche industriali e con un approccio manageriale; presenza di ancora forti interdipendenze tra territori”.
A tracciare questo quadro è uno studio realizzato dal Laboratorio servizi pubblici locali di Ref ricerche, che sottolinea inoltre come, per quanto riguarda le criticità relative alla governance, tra gli elementi da affrontare in modo mirato ci siano “le ancora numerose gestioni comunali (dette ‘in economia’), con capacità tecniche e organizzative limitate e non adeguate”.
“Se si escludono alcune realtà industriali, quali Acqua Campania e Gori in Campania, Abbanoa in Sardegna, Acquedotto pugliese in Puglia, Acquedotto lucano in Basilicata e Siciliacque e Caltaqua in Sicilia, i soggetti che operano nei territori non dispongono di capacità finanziarie e organizzative coerenti con l’attivazione degli investimenti”, spiegano gli autori della ricerca, evidenziando come, in contesti di questo tipo, anche la regolazione incentivante dell’Arera “poco abbia potuto, risolvendosi per lo più in diffide e nell’imposizione di tagli alle tariffe d’ufficio da parte dell’Autorità”.
Secondo lo studio, inoltre, questa frammentazione gestionale esplica i suoi effetti negativi anche sulla realizzazione degli investimenti. Ciò è dovuto in particolare al fatto che “le cause del deficit infrastrutturale del Mezzogiorno non sono riconducibili tanto alla mancanza di fondi pubblici, quanto principalmente alle ridotte capacità tecniche e gestionali dei Comuni e degli Enti pubblici del territorio”.
Per approfondire questi aspetti gli esperti del laboratorio Ref ricerche hanno analizzato i fondi delle politiche di coesione italiane, identificando e isolando i progetti afferenti al servizio idrico integrato. Dai dati emerge, in particolare, come siano 4.466 gli interventi finanziati attraverso i cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, per un ammontare totale di risorse pubbliche a disposizione pari a 10,3 miliardi di euro. Di queste, circa l’83% è destinato ai territori del Sud e delle Isole, il 12% al Nord e il 3% al Centro Italia.
“L’area del Sud e delle Isole registra importanti ritardi – spiega lo studio – il tasso di conclusione degli interventi a luglio 2019 si attesta solo al 18%, per un ammontare di 760 milioni di euro di spesa, mentre un 22% dei progetti, corrispondenti a 1.464 milioni di euro di finanziamenti, non risulta ancora avviato. La nostra analisi mostra come il principale soggetto attuatore siano i Comuni, che gestiscono il 61% degli interventi. La difficoltà delle amministrazioni locali, rispetto agli altri soggetti attuatori, è testimoniata dal numero degli interventi non ancora avviati (191). Problematicità che si riscontrano anche nei casi in cui la realizzazione è demandata ad enti pubblici non economici, 38, e a ministeri, partecipate statali e commissari, 31”.
Servono politiche nuove e un ruolo attivo dell’Autorità
Per crescere e superare le criticità dell’attuale situazione del comparto, che i ricercatori descrivono come “un’altra tessera del complesso e ormai antico mosaico della questione meridionale”, è necessario adottare “politiche nuove”. Questi nuovi approcci, secondo gli studiosi, dovranno porre al centro “un ruolo attivo dell’Autorità di distretto nella gestione delle funzioni pubbliche di governo della risorsa, un operatore pubblico che gestisca le interdipendenze regionali dell’approvvigionamento e operatori industriali a controllo pubblico, verticalmente integrati e di scala regionale, con competenze e know-how da costruire anche tramite partenariati con le realtà industriali più avanzate”.
In particolare, un elemento chiave in questo contesto sarà quello gestionale. È importante infatti che il comparto idrico possa contare su “operatori industriali di dimensioni adeguate, integrati verticalmente e organizzati, depositari del know-how per la realizzazione e la gestione di opere tecnicamente complesse, in grado di reperire le risorse finanziarie e di dare attuazione ai programmi di investimento, con incrementi tariffari accettabili e un efficiente utilizzo dei contributi pubblici a fondo perduto a disposizione”.
Per quanto riguarda, invece, le problematiche legate alla obsolescenza delle infrastrutture e alla complessa configurazione idrografica del distretto dell’Appennino meridionale e di quelli di Sicilia e Sardegna, secondo i ricercatori, è necessaria l’adozione di un approccio output-based. Si tratta di una modus operandi “basato su piani strategici di lungo periodo e sulla necessità di una governance istituzionale con una visione olistica nella pianificazione delle risorse, non centrata esclusivamente sugli usi civili, ma anche su quelli dei comparti industriali e irrigui”.
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