“Una corretta gestione della risorsa idrica e dei consumi energetici associati diventa fondamentale: nell’attività di distribuzione, per esempio, il potenziale teorico di risparmio energetico annuo si traduce in circa 370 milioni di euro, quello idrico in 2,7 miliardi di metri cubi d’acqua”. E’ quanto emerge – come si legge in una nota – dalla prima edizione del Water Management Report dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, presentata martedì 24 gennaio. La ricerca è focalizzata sulla rete idrica civile e sull’industria, e analizza in particolare cinque sotto settori nell’ambito della chimica, della siderurgia, della lavorazione di minerali non metalliferi, della produzione della carta e del tessile, che complessivamente costituiscono circa il 55% dei consumi totali di acqua nel comparto industriale. Il comparto agricoltura sarà invece analizzato nella seconda edizione del Water Management Report, in uscita a fine anno.
Secondo lo studio in Italia si cerca un efficientamento della rete idrica che tuttavia è ancora un “work in progress”. Se analizziamo, infatti i dati relativi alla fine del 2015 vediamo che l’acqua erogata nelle reti di distribuzione nel nostro Paese è stata pari a circa 4,8 miliardi di metri cubi, con una dispersione media del 40,66% (contro il 37,19% del 2012) e punte di oltre il 50% nel Centro e Sud Italia.
Quanta acqua dolce preleviamo all’ambiente
In generale, spiega la nota, “il volume totale di acqua dolce prelevato dall’ambiente nel nostro Paese è di circa 33,7 miliardi di metri cubi l’anno, per metà (50,45%) usati in agricoltura, che però si serve solo marginalmente della rete idrica. L’industria ne utilizza il 22,85% e si basa soprattutto su sistemi di prelievo dedicati; il resto (26,70%) è appannaggio del settore civile, che si approvvigiona quasi esclusivamente dalla rete idrica”.
La chiave è nella collaborazione tra gli stakeholder
“Migliorare l’efficienza della rete idrica italiana promette importanti vantaggi – afferma in nota Vittorio Chiesa, Direttore dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano – ma occorre migliorare il coinvolgimento e la collaborazione tra gli stakeholder. Nel caso della rete civile, per esempio, l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI), i soggetti gestori degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), i manutentori della rete idrica civile, i grossisti e i fornitori di tecnologie devono camminare insieme verso l’obiettivo di ridurre le perdite lungo tutta la rete sfruttando le opportunità connesse al nuovo sistema tariffario e utilizzando al meglio tutte le tecnologie”.
Perchè serve un nuovo sistema tariffario
Gli investimenti nel settore idrico (a fine 2015 circa 11,85 miliardi di euro di risorse pubbliche) devono trovare nel nuovo sistema tariffario la principale fonte di finanziamento, “ma la normativa dovrebbe avviare un circolo virtuoso che leghi maggiori investimenti a migliori remunerazioni”, conclude Chiesa. “In questo senso – ad esempio – lo studio evidenzia le opportunità legate alle tecniche no-dig per opere di risanamento e sostituzione con costi e impatto ambientale meno elevati”.
Anche nell’industria “esistono numerosi sistemi, grazie all’evoluzione tecnologica, che consentirebbero sia una riduzione dei consumi d’acqua sia un incremento della profittabilità, così come ci sono opportunità di efficientamento poco sfruttate perché si scontrano con costi della ‘materia prima acqua’ piuttosto bassi – spiega il Direttore dell’Energy&Strategy Group – in questo senso è importante che i policymakers definiscano delle condizioni normative e fiscali adatte a favorire gli investimenti che mirino a risparmiare acqua dolce. Si può innescare un percorso virtuoso di utilizzo sostenibile della risorsa idrica soprattutto se si sensibilizzeranno tutti gli attori, pubblici e privati, sul tema del water management e si renderà conveniente investire”.
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