“Stop all’arrembaggio dei fondali marini”: è l’appello lanciato dal WWF in occasione della ventinovesima assemblea dell’International Seabed Authority (ISA), in programma fino al 2 agosto in Giamaica. La pratica oggetto delle polemiche, che il WWF descrive anche come “la nuova corsa all’oro degli abissi” e “la nuova frontiera dell’estrazione mineraria”, è quella del cosiddetto “deep sea mining”.
Il deep sea mining è il prelievo di minerali dai fondali marini profondi, dove si trovano noduli polimetallici, depositi di solfuri e croste ricche di cobalto.
Cos’è l’oceano profondo
I fondali marini profondi coprono quasi la metà della superficie terrestre e sono in gran parte inesplorati, ma le ultime indagini effettuate indicano che siano brulicanti di vita e che gli stessi minerali siano componenti essenziali di questi ecosistemi, alla base della catena alimentare oceanica.
“È la più grande area del Pianeta dove si trovano specie viventi. Anche se fino a qualche anno fa si pensava che fosse un luogo ‘disabitato’, proprio a causa della profondità e della mancanza di luce, ora sappiamo che ospita una delle più elevate concentrazioni di biodiversità del mondo”, spiega a Canale Energia l’oceanografa Francesca Santoro, responsabile delle attività di educazione all’oceano per la Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC) dell’UNESCO.
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Quali sono le insidie del deep sea mining
La Norvegia è per ora l’unica nazione che ha approvato l’esplorazione dei fondali, non ancora lo sfruttamento. Qualora si decidesse di dare inizio alle attività estrattive, si rischierebbe “la distruzione diretta delle specie che vivono dove si trovano i noduli polimetallici. A questo si aggiungerebbero gli impatti dell’inquinamento ambientale, acustico e luminoso sulla salute generale degli ecosistemi e, in particolare, sulla megafauna, come le balene”, prosegue la dottoressa Santoro.
Il potenziale dell’economia circolare
Gli oceani, oltre a fornire sostentamento alle comunità costiere e non solo, sono grandi serbatoi di carbonio. Se da un lato l’estrazione dai fondali marini profondi a livello industriale è stata valutata tra i 2 e i 20 miliardi di dollari, il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio di sconvolgere un’economia oceanica che vale circa 1,5 – 2,4 miliardi di dollari annui. L’idea di prelevare risorse dalle profondità oceaniche è “in contrasto con la transizione verso un’economia circolare”, che rischia di compromettere “gli sforzi già in atto per aumentare il riciclaggio e ridurre l’uso di risorse limitate”, secondo Giulia Prato, responsabile mare del WWF Italia.
Nel report “The future is circular”, l’organizzazione dimostra che, a fronte di una domanda complessiva di minerali nell’ordine di 690 Mt dal 2022 al 2050, è possibile ridurla del 58 per cento sfruttando l’innovazione tecnologica e l’economia circolare. Considerando che il primo agosto (data dell’Earth Overshoot Day) abbiamo esaurito le risorse che avremmo dovuto consumare in un anno, si capisce come ridurre lo sfruttamento del Pianeta e passare a un modello circolare sia l’unico modo per assicurarsi un futuro. È su questo principio che dovrebbe basarsi la transizione ecologica, guardando nel caso dei minerali critici anche al potenziale della geotermia.
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Il ruolo del Trattato sull’alto mare
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) stabilisce, inoltre, che le profondità marine e le loro risorse debbano essere considerate patrimonio comune dell’umanità. “La gran parte di queste zone profonde si trova nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale e, pertanto, necessita di una tutela ancora maggiore”, continua Francesca Santoro. Proprio per salvaguardare le cosiddette “acque internazionali” è nato l’Accordo delle Nazioni Unite sulla conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina delle aree al di là della giurisdizione nazionale (BBNJ Agreement), anche noto come Trattato sull’alto mare (High Seas Treaty).
Quando entrerà in vigore, dopo essere stato ratificato da almeno sessanta Paesi, renderà più facile proteggere l’alto mare da attività come il deep sea mining. “Renderà obbligatorio fare delle valutazioni di impatto ambientale rispetto alle attività economiche da svolgere nelle zone in questione, e renderà più fattibile creare delle grandi aree marine protette”.
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L’obiettivo della Deep Sea Conservation Coalition
Nel frattempo, “la comunità scientifica chiede a gran voce l’applicazione del famoso ‘principio di precauzione’. Non conoscendo ancora con precisione le specie che popolano l’oceano profondo e i possibili impatti del deep sea mining, è meglio fare degli studi più approfonditi prima di procedere”, commenta Santoro. È questo il parere della Deep Sea Conservation Coalition (DSCC), che chiede una moratoria sul deep sea mining a livello globale, almeno fino a quando non ne saranno stati compresi tutti gli impatti ambientali e sociali e non saranno state prese in esame tutte le possibili alternative.
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I suoi membri includono organizzazioni come WWF, Greenpeace e OceanCare e Paesi europei come Spagna, Grecia, Portogallo e Francia, che addirittura chiede di vietare il deep sea mining per sempre. L’UE stessa è favorevole all’introduzione di una moratoria. L’Italia – dove, quattro anni fa, era stato firmato un MoU tra Saipem e Fincantieri che non ha avuto sviluppi – non ha ancora aderito alla coalizione.
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Il dibattito al Parlamento italiano sul DL Materie prime critiche
Il 30 luglio, in riferimento al decreto-legge 25 giugno 2024, n. 84, recante disposizioni urgenti sulle materie prime critiche di interesse strategico, è stato presentato alla Camera un ordine del giorno che chiedeva “una moratoria o comunque una pausa precauzionale sull’estrazione mineraria in alto mare”. Il testo, a prima firma della capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Luana Zanella, è stato bocciato dalla maggioranza.
“Siamo assolutamente contrari ai progetti di estrazione mineraria nei fondali marini perché riteniamo – come abbiamo proposto con alcuni emendamenti bocciati dalla maggioranza – che debbano essere sospesi o che almeno venga dimostrato che gli effetti su ambiente, biodiversità e sicurezza siano minimi”. Queste le dichiarazioni dell’onorevole Francesca Ghirra, deputata dell’AVS e segretaria della X Commissione (Attività produttive, Commercio e Turismo), raggiunta da Canale Energia.
In Aula la discussione generale del disegno di legge recante disposizioni urgenti sulle materie prime critiche di interesse strategico. Gli iscritti.
Per approfondire: https://t.co/xlhrdwNiGd
Segui la diretta: https://t.co/mMFbtH6CQr #OpenCamera pic.twitter.com/H5bL8RHY9F— Camera dei deputati (@Montecitorio) July 30, 2024
“I fondali marini profondi sono un hotspot di biodiversità, un importante serbatoio di carbonio e un tesoro di risorse genetiche marine. L’estrazione in acque profonde, potenzialmente la più grande operazione estrattiva della storia, potrebbe compromettere gravemente le future scoperte per il bene comune globale, distruggendo gli ecosistemi e le specie, mentre gli eventuali benefici economici andrebbero solo a una manciata di soggetti interessati”, aggiunge l’onorevole Ghirra.
“Peraltro, l’Associazione nazionale ingegneri militari (ANIM) ha sottolineato che attualmente non sono vigenti provvedimenti legislativi che definiscano i titoli abilitativi relativi ai progetti di estrazione mineraria di minerali strategici nei fondali marini e che, a livello mondiale, non risultano avviate attività estrattive di materie prime critiche dai fondali marini. Inoltre, l’aggiornamento della carta mineraria da parte di ISPRA non sembra agevole né prevedibile a breve termine; pertanto, a nostro avviso, questa previsione non dovrebbe essere ritenuta ammissibile”, conclude Ghirra.
La responsabilità dei cittadini
La maggior parte degli italiani sembra essere dello stesso parere, considerando che sei su dieci sono contrari alle estrazioni minerarie in acque profonde e favorevoli a un divieto temporaneo per questo settore, stando a una ricerca condotta da Ipsos per conto di WWF Italia, DSCC, Seas at Risk e WeMove Europe. E ci sono anche delle attiviste e degli attivisti italiani dietro alla campagna “Look down”, nata in risposta al film “Don’t look up”.
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“L’aumento della consapevolezza da parte dei cittadini è fondamentale”, afferma, in conclusione, Francesca Santoro. “Anche se i mari sono i nostri principali alleati nella lotta contro la crisi climatica, si tende a parlarne soltanto durante l’estate, com’è accaduto recentemente quando i giornali hanno menzionato le temperature dell’Adriatico che hanno raggiunto i trenta gradi. Le ondate di calore marino sono fenomeni a cui assistiamo ormai da anni, cui se ne aggiungono altri come l’acidificazione e l’eutrofizzazione. Informarsi è il primo passo per compiere delle scelte più consapevoli, e fare delle richieste specifiche ai propri governi”.
Immagine in copertina: Deep sea anglerfish (Himantolophus sp)
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