Delineare strategie comuni volte ad accrescere la compatibilità fra il settore crocieristico e le realtà urbane e ambientali europee. E’ questo l’obiettivo principale dell’iniziativa “CRUISE 2030 CALL FOR ACTION”, lanciata lo scorso luglio dal Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale Pino Musolino. Nell’ambito del progetto le delegazioni di sette dei principali porti crocieristici europei (Amsterdam, Palma di Maiorca, Bergen, Cannes, Dubrovnik, Malaga e Marsiglia Fos), si sono riunite a Venezia il 18 ottobre per mettere a fattor comune competenze e best practice e valorizzare l’importanza economica e occupazionale del settore delle crociere, nonché la sua consolidata attenzione ai paradigmi della tutela ambientale.
Insieme al Presidente Musolino abbiamo approfondito alcuni aspetti dell’iniziativa.
Qual è stato l’input che ha portato alla promozione dell’iniziativa ?
Tutto è partito dal confronto con diverse realtà portuali, da cui sono emerse una serie di criticità condivise. Ho pensato, da un lato, che le problematiche non potevano essere affrontate singolarmente e, dall’altro, che era necessario discutere su un cambiamento del business model adottato nel settore crocieristico.
In cosa consiste questo cambiamento dei modelli di business?
L’industria dello shipping è uno dei settori che ha il più alto impatto ambientale, tuttavia riveste anche un ruolo fondamentale a livello globale, in quanto è la cinghia di trasmissione del commercio internazionale. Io vorrei che, nel prossimo futuro, il tema della sostenibilità ambientale diventasse un concetto intrinseco a quello di porto.
Vorrei che, nel prossimo futuro, il tema della sostenibilità ambientale diventasse un concetto intrinseco a quello di porto
Non possiamo pensare a un porto del futuro che non metta al centro la tutela ambientale. Per raggiungere questi obiettivi è necessario intervenire su un modello di business che negli ultimi 20 anni ha messo al centro l’agenda dettata dalle navi. In quest’ottica erano i porti che dovevano adattarsi, attraverso investimenti e utilizzo delle risorse, alle necessità delle imbarcazioni di grandi dimensioni. Bisogna, invece, cambiare prospettiva, valutando anche l’economia complessiva della gestione del porto. Nella pianificazione devono essere calcolati, da un punto di vista econometrico, anche aspetti legati all’uso intelligente del suolo, delle risorse e alla gestione dei costi dell’infrastruttura portuale. Solo così si può capire se un’industria delineata in un certo modo genera effettivamente sviluppo ed economia per il territorio. In sostanza è fondamentale bilanciare il lato mare e il lato terra, puntando, da un lato, a mantenere un’industria solida per il futuro, e, dall’altra, a non creare conflitto tra l’infrastruttura portuale e le città.
In quest’ottica quali sono le caratteristiche fondamentali dei porti del futuro?
Pensiamo a un modello di sviluppo che sia assolutamente in grado di garantire posti di lavoro, innovazione, sviluppo industriale, ma che, al tempo stesso, non sia esageratamente impattante sull’ambiente. In questo percorso bisogna tener presente che le diverse città portuali e crocieristiche europee hanno caratteristiche geografiche ben diverse dai Paesi dei Caraibi o del Golfo o del sud -est asiatico. Per questo motivo, per costruire i porti del futuro, si deve mantenere un forte rapporto con il territorio.
Come si struttura l’attività del gruppo di lavoro legato al progetto e quali sono i temi chiave che poi farete confluire nel documento attualmente in fase di elaborazione?
Insieme alle diverse realtà portuali aderenti abbiamo iniziato a costruire un rapporto di fiducia collettiva che ci permetta di collaborare in modo efficace. Esistono già delle buone pratiche nei diversi porti che possono essere condivise e che rappresentano un valido punto di partenza. Il primo step è stato quello di discutere delle problematiche comuni a tutti. Ora stiamo realizzando delle analisi quantitative con il supporto di alcuni centri di ricerca, per creare delle valutazioni omogenee e avere gli stessi benchmark. L’obiettivo è quello di trovare un giusto compromesso tra l’interesse della nave e l’interesse della terra, tra le dimensioni delle navi e quelle dei porti e dei territori in cui si trovano. Puntiamo inoltre a promuovere misure sempre più incentrate sulla sostenibilità ambientale e a cominciare un sano confronto con gli armatori, che non possono essere gli unici a dettare l’agenda.
Quali sono i prossimi step?
Ci rivedremo a Palma de Maiorca a gennaio con l’idea di andare verso una concretizzazione degli obiettivi messi su carta. Lavoreremo nei nostri uffici per raccogliere dati e mettere in atto un percorso scientifico di analisi, per poi arrivare a un documento che sintetizza ed enuclea i passi da compiere. Un primo risultato è però già stato raggiunto. Espo, l’associazione dei porti Europei, sollecitata dal fatto che 9 dei suoi membri si sono mossi da soli, ha realizzato un position paper sul tema della sostenibilità ambientale nella crocieristica, che dovrà essere adottato nella prossima riunione di novembre. Aver stimolato una realtà europea sul tema è già un bel risultato.
Quali sono, riassumendo, le priorità da affrontare in ambito ambientale nel settore crocieristico?
Direi tutti gli aspetti legati alla ricerca, all’innovazione in ambito carburanti ed efficienza energetica, ma anche la questione del waste management. Accanto a questi temi è poi importante riflettere sul concetto di una “classe Europa”, ossia di un naviglio di nuova concezione che risponda alle caratteristiche specifiche dei porti del Vecchio Continente. Sarebbe una vera e propria rivoluzione copernicana.
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