Italiani sempre più connessi, anche quando guidano un’auto, anche se hanno paura della violazione della privacy o dell’hackeraggio del veicolo. Italiani sempre più propensi a scambiare dati sul proprio stile di vita o sui percorsi preferiti, sullo stato del veicolo – dalla pressione degli pneumatici al livello degli oli – o sulle condizioni meteo e di traffico incontrate lungo il tragitto. A patto che servano per aumentare la sicurezza personale, localizzare l’auto in caso di emergenza e furto, eseguire la diagnostica da remoto e la manutenzione predittiva.
La ricerca Aniasa e Bain & Company
È quanto emerge dalla ricerca L’auto connessa… vista da chi guida. Il ruolo ed i rischi dei dati nell’industria dell’auto, presentata ieri a Milano da Aniasa, l’associazione che dentro Confindustria rappresenta il settore dei servizi di mobilità, e da Bain & Company, società di consulenza strategica, insieme alla 18ma edizione del rapporto annuala Aniasa.
L’indagine è stata realizzata su un campione rappresentativo di 1.200 automobili e mostra che un italiano su dieci già guida un’auto connessa e che il 60 per cento del campione è pronto ad acquistarla. L’attenzione è dedicata alla produzione esponenziale di dati che avviene ogni giorno e che permette e favorisce l’offerta di nuovi servizi da parte di operatori specializzati. “Dopo l’incontro con il mondo dell’auto la telematica si sta ‘democratizzando’, portando nuovi attori nell’arena competitiva – ha commentato in una nota stampa Gianluca Di Loreto, partner di Bain & Company – ma per sfruttare pienamente il potenziale del settore occorre investire nella giusta regolamentazione (privacy) e nella comunicazione dei reali benefici, per convincere gli “scettici” a connettere le proprie auto… per un giusto fine”.
Cinque gruppi di conducenti
Gli automobilisti sono stati divisi in cinque gruppi di guidatori in base alle caratteristiche anagrafiche e comportamenti, all’interesse alla propensione verso la condivisione dei propri dati.
Si va dagli Indifferenti (32 per cento), che sono propensi a rendere disponibili le informazioni ma sono poco interessati alle auto connesse, ai Telematici (15 per cento), interessati sia alla condivisione che all’auto. Queste due tipologie costituiscono un potenziale bacino di sviluppo per il mercato dell’IoT. Soprattutto perché nella relazione emerge una elevata correlazione tra l’attenzione all’auto connessa e la volontà di pagare di più per averla.
Ci sono poi gli Indecisi (22 per cento), i quali tendono meno alla condivisione, gli Scettici, poco inclini alla condivisione, e i Connessi con riserva, interessati alle auto connesse ma non a rendere disponibili i propri dati.
Finalità della condivisione
In generale gli automobilisti disposti a condividere i propri dati si rivelano pragmatici. Vogliono fornire solo quelli utili per l’assistenza stradale, la manutenzione predittiva, la riduzione dei problemi assicurativi, al diagnostica remota dal veicolo. E solo per un determinato lasso tempo (70 per cento). Si rifiutano, invece, di mettere a disposizione quelli personali, i contatti in rubrica o i dettagli su modalità di svago. A preoccuparli di più l’incertezza circa i soggetti che ne entreranno in possesso (75 per cento), i timori legati all’hackeraggio (54 per cento) e la violazione della privacy (43 per cento).
Privacy italiani poco tutelata
Oggi il mercato mondiale dell’auto connessa ha un valore stimato di oltre 60 miliardi di euro e la crescita prevista è di +260 per cento nei prossimi otto anni. 125 milioni sono le auto connesse che, sempre secondo le previsioni, saranno consegnate nei 3-4 anni a venire. I margini di crescita, dunque, sono ampi. Se il 29 per cento degli automobilisti, come detto, già guida un’auto connessa solo il 12 per cento dice di non volerla. Visto e considerato che sette italiani su dieci reputano la legislazione attuale insufficiente a tutelare la privacy dei consumatori.
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