Perché l’adattamento ai cambiamenti climatici è una questione di genere

In occasione della Giornata internazionale della donna dell’8 marzo, Irene Staffieri della FAO ci parla dell’ultimo report che l’organizzazione ha redatto sul tema dell’ingiustizia climatica

Le donne si impegnano maggiormente degli uomini nell’adattamento ai cambiamenti climatici, ma subiscono comunque le conseguenze peggiori dei fenomeni meteorologici estremi. O almeno, questo è quello che accade nelle aree rurali dei Paesi a basso e medio reddito, stando al rapporto pubblicato il 5 marzo dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Food and Agriculture Organization, FAO).

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Foto di Gyan Shahane su Unsplash

L’analisi, che ha coinvolto più di 100mila nuclei familiari di 24 nazioni e ha preso in esame settant’anni di dati georeferenziati sulla temperatura e sulle precipitazioni, è dedicata proprio al tema dell’ingiustizia climatica.

Le perdite economiche causate dagli eventi meteo estremi

Le cifre parlano chiaro: ogni anno, nelle aree rurali dei Paesi a basso e medio reddito, i nuclei familiari aventi una donna come capofamiglia perdono in media l’8 per cento in più del loro reddito a causa delle temperature sopra la media e il 3 per cento in più a causa delle inondazioni rispetto alle famiglie che hanno un uomo come leader. Traducendo le percentuali in dollari, si parla di circa 37 miliardi nel primo caso e 16 miliardi nel secondo.

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© FAO

Le donne lavorano di più, ma guadagnano di meno

“Questi dati fanno riflettere ancora di più se pensiamo che, in caso di inondazioni, le donne intensificano le loro attività lavorative sul campo, arrivando a incrementare dell’1,2 per cento il valore della produzione agricola rispetto agli uomini. Nel caso delle ondate di calore, si adoperano per vendere bestiame o prodotti forestali. Questo, però, non innesca un effetto compensativo in grado di mitigare le loro perdite economiche”, spiega la dottoressa Irene Staffieri, economista della ESP Division della FAO, fra i principali autori del report.

“Ciò accade perché i danni subiti dipendono in gran parte dal fatto che le donne, rispetto agli uomini, hanno minori opportunità di lavoro e guadagno nel settore non agricolo, quello che nel report definiamo off-farm income. Insomma, in caso di eventi meteo estremi le donne si assumono l’onere lavorativo maggiore, ma subiscono comunque i danni peggiori”, sottolinea Staffieri.

Quali sono le barriere che ostacolano i processi di adattamento

Barriere come l’impossibilità di accedere a determinati servizi, risorse e opportunità lavorative influiscono sulla capacità delle popolazioni rurali di adattarsi e far fronte ai cambiamenti climatici. Per esempio, si legge nel report, esistono politiche discriminatorie che impongono alle donne un onere sproporzionato a livello di gestione della casa e responsabilità domestiche, limitano i loro diritti sui terreni, impediscono loro di prendere decisioni sul proprio lavoro e ostacolano il loro accesso all’informazione, alla finanza, alla tecnologia e altri servizi essenziali.

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“Le differenza di vulnerabilità al clima tra uomini e donne sono legate alle strutture sociali; alle norme che disincentivano il processo educativo delle ragazze; alle istituzioni discriminatorie che regolano l’accesso al credito e alle assicurazioni, così come la varietà delle fonti di reddito e i salari. A pesare parecchio, per le donne che lavorano in agricoltura, è il fatto di possedere meno terreni e di avere meno denaro da investire nella manodopera e in tutti quegli interventi e quelle tecnologie capaci di ridurre l’impatto della crisi climatica e aumentare la produttività”, continua Irene Staffieri. Questo si traduce spesso nella scelta di coltivare una limitata gamma di colture di base, nel tentativo di raggiungere obiettivi di sicurezza alimentare a breve termine.

Quali sono le evoluzioni che servono a livello politico e finanziario

Servono mutamenti radicali nelle policy legate alla transizione ecologica. Solo il 7,5 per cento degli investimenti per il clima effettuati fra il 2017 e il 2018 ha finanziato le strategie di adattamento. Solo il 3 per cento dei finanziamenti è stato indirizzato all’agricoltura e soltanto l’1,7 per cento è servito a sostenere i piccoli agricoltori. Nei piani nazionali di adattamento (National Adaptation Plans, NAPs) dei 24 Paesi analizzati dalla FAO, solamente il 6 per cento delle 4.164 azioni climatiche proposte menziona le donne, solo il 2 per cento contiene riferimenti specifici ai giovani, meno dell’1 per cento menziona le persone in povertà e circa il 6 per cento fa riferimento agli agricoltori delle comunità rurali.

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Foto di Dibakar Roy su Unsplash

“È fondamentale che tutti i giovani, indipendentemente dal genere, abbiano accesso all’istruzione e alla possibilità di diversificare le loro fonti di reddito. Fra i nostri suggerimenti, c’è anche quello di investire nei programmi di protezione sociale, che possono essere integrati con successo in strategie più ampie di adattamento al clima e di sviluppo agricolo e riescono a tutelare molti dei membri più vulnerabili delle comunità rurali, caratterizzate da forti disuguaglianze”, chiarisce Staffieri.

L’importanza di un approccio gender-transformative

“Riteniamo sia importante anche indirizzare una parte dei finanziamenti verso appositi servizi di consulenza e attività di divulgazione come le Farmer Field Schools, che in italiano vengono definite ‘scuole sul campo per agricoltori’ e che coinvolgono i piccoli produttori nella ricerca di soluzioni che aumentino la loro resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici”, prosegue l’economista.

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Un’altra iniziativa della FAO è quella delle Women’s Empowerment Farmer Business Schools (WE-FBS), che coinvolgono sia le donne sia gli uomini e hanno l’obiettivo di aumentare le loro conoscenze delle logiche imprenditoriali, rafforzando il loro ruolo e migliorando la loro capacità di gestire le crisi.

Sono progetti che, come ci spiega Irene Staffieri, mirano a promuovere un approccio gender-transformative, creando degli ambienti più equi in cui le donne possano dare il proprio contributo come tutti gli altri. “Le politiche devono tornare a incentrarsi sulle persone: siamo tutti esseri umani, ma è necessario tenere conto delle diverse vulnerabilità che esistono al mondo e che si stanno accentuando con il riscaldamento globale”, conclude l’esperta.


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Nata in provincia di Sondrio, ha studiato a Milano e Londra. Giornalista pubblicista, si occupa di questioni legate alla crisi climatica, all’economia circolare e alla tutela di biodiversità e diritti umani.