- Diversificare le fonti energetiche è importante sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista geopolitico.
- L’Unione europea deve accelerare questo procedimento, facendo momentaneamente affidamento anche sulla diversificazione dei fornitori di gas naturale.
- Un processo che deve essere in grado comunque di tutelare i cittadini dalla povertà energetica.
“Che nessuno sia lasciato indietro” era il tema della Giornata mondiale dell’alimentazione di quest’anno, ma è un monito che potrebbe valere in tanti altri ambiti. Uno dei quali è senza dubbio la transizione energetica, ovvero quel processo che dovrebbe portarci alla decarbonizzazione del settore dell’energia. Un processo che non solo dev’essere equo, ma anche rapido e coeso: “L’Europa aveva già avviato un cambiamento radicale del suo modello di approvvigionamento energetico: ora, con il conflitto in Ucraina, bisogna accelerare i tempi. Le politiche di medio periodo devono andare di pari passo con le politiche dell’emergenza”, ha dichiarato Patrizia Toia, europarlamentare, durante un incontro organizzato il 17 ottobre dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
La regione mediterranea è un hotspot della crisi climatica: si sta scaldando più velocemente di altre, assistendo all’inesorabile innalzamento del livello dei mari. Come ha ricordato Grammenos Mastrojeni dell’Unione per il Mediterraneo, il nostro è un continente piccolo e, al di là degli storici rapporti commerciali, è il clima che ci accomuna. Se il clima cambia, si evolve anche la nostra identità. “La transizione verde, già imposta dai cambiamenti climatici, è ora più importante che mai. Dobbiamo lavorare insieme alla costruzione di una società low-carbon, e gli investimenti devono passare dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. Solo così potremo garantirci la sicurezza energetica. La diffusione dell’idrogeno verde rappresenta un’altra opportunità importante: la regione euro-mediterranea è uno dei corridoi selezionati a questo scopo”, ha ribadito Christa Schweng, presidente dell’European Economic and Social Committee (EESC).
La ricerca di nuovi fornitori di energia
Facendo una stima sulla base delle misure attuate finora, le emissioni derivanti dalla combustione del carbone si ridurranno approssimativamente del 15 per cento entro il 2040. Eppure, per mantenere l’aumento delle temperature al di sotto di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali – come auspicato dall’Accordo di Parigi –, le emissioni dovrebbero calare dell’80 per cento. Si prevede una crescita esponenziale della domanda di petrolio, che passerà dagli attuali 95 milioni di barili al giorno ai 105 del 2040, quando non dovremmo consumarne più di 40 milioni di barili quotidiani. Come detto, per rivoluzionare il sistema energetico servono le fonti rinnovabili e l’idrogeno verde.
Nonostante la contrarietà di organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, l’Unione europea ha incluso anche il gas nella tassonomia, cioè nella classificazione degli investimenti che sono ritenuti sostenibili. Secondo Ioannis Maniatis, già ministro dell’Ambiente in Grecia, il fatto che l’UE abbia ridotto la sua produzione di gas per importarlo dalla Russia a costi ridotti è fra le cause della crisi attuale. Visto il quadro geopolitico, è necessario a questo punto diversificare i fornitori, guardando a paesi come l’Azerbaigian, ma soprattutto come l’Algeria, la Libia (dove, però, la situazione di stabilità politica appare delicata), l’Egitto (che ha un grande potenziale anche dal punto di vista dell’energia solare) e Israele (che avrebbe bisogno di nuove infrastrutture). Le esportazioni di gas dalla regione meridionale del Mediterraneo potrebbero potenzialmente raggiungere i 100 miliardi di metri cubi nel 2030, contro i 60 del 2021.
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La mitigazione dell’impatto economico e sociale dell’aumento dei prezzi
“L’obiettivo è il raggiungimento dell’autonomia energetica, per garantire un accesso universale all’energia e una distribuzione equa. Bisogna che la solidarietà europea sia effettiva. È un fronte che ha implicazioni per la vita di ognuno di noi, e straordinarie implicazioni geopolitiche”, ha commentato Tiziano Treu, presidente del CNEL.
Nella letteratura, si parla di povertà energetica dal 1981: non è un problema nato soltanto adesso. Uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite riguarda proprio la lotta contro questo fenomeno. “Non si fa riferimento soltanto all’accessibility, ma anche all’affordability, cioè alla capacità di pagare le bollette senza incorrere in problemi finanziari. Ricordiamoci che l’energia serve anche per i mezzi di trasporto, e che le caratteristiche delle abitazioni e degli elettrodomestici sono altri fattori che influenzano la povertà energetica”, ha sottolineato Raffaele Miniaci, membro del comitato esecutivo dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica.
“Bisogna tener conto delle esigenze della popolazione, del suo invecchiamento. Nel 2020, l’8 per cento della popolazione italiana era in condizioni di povertà energetica, vale a dire circa due milioni di nuclei familiari. Le misure di contrasto attuate finora non sono state molto efficaci. Così come la transizione energetica deve guardare ai lavoratori che rischiano di perdere il posto, e a chi non può permettersi di pagarne i costi”.
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Stop alle contraddizioni
Secondo Baiba Miltoviča, presidente della commissione EESC per i trasporti e l’energia, non solo i cittadini non vanno lasciati indietro, ma svolgono un ruolo attivo nella costruzione di comunità energetiche locali. L’Europa, chiaramente, deve fare la sua parte: il prezzo del gas non può essere speculativo. Le rinnovabili non possono essere vittime della burocrazia. E non è possibile che i combustibili fossili siano tassati da un lato per continuare a ricevere sussidi dall’altro. “Serve un’Europa unita, solidale, capace di fare quello che ha fatto per fronteggiare la pandemia. Serve una mossa analoga al Next Generation EU”, ha concluso Gian Paolo Gualaccini, coordinatore della commissione CNEL per le politiche europee e la cooperazione internazionale.
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