Mare“Il valore prodotto dall’economia del mare e la sua importanza socio-economica, con le significative ricadute occupazionali del cluster marittimo, sia dirette che indotte nel resto dei settori della nostra economia, sono fattori indispensabili per lo sviluppo del Paese”. E’ quanto ha affermato Tiziano Treu, presidente del Cnel, in occasione della presentazione, tenutasi venerdì 12 dicembre a Roma, della VI edizione del Rapporto sull’economia del mare. Una ricerca realizzata con il Censis, che aggiorna i dati e amplia l’analisi all’Europa (contributo a cura di Cogea) e al Mediterraneo (contributo a cura di Srm-Gruppo Banca Intesa), abbinata alla presentazione dello studio “Cinquant’anni di economia marittima in Italia: evoluzione e prospettive tra XX e XXI secolo” realizzato sempre dal Censis con il contributo di Federazione del Mare, dei gruppi d’Amico e Grimaldi e di Ucina-ConfindustriaNautica (clicca qui per scaricare il rapporto). 

“Uno dei settori più dinamici dell’economia italiana”

“Lo shipping è già la modalità di trasporto più sostenibile a livello ambientale” Luca Sisto, direttore generale di Confitarma, su e7 di questa settimana in un approfondimento sul trasporto marittimo 

Dai dati Censis emerge in particolare come il cluster marittimo del nostro Paese sia uno dei “settori più dinamici dell’economia italiana”. La crescita nel triennio 2015-2017 si è infatti attestata su un valore di 5,3%, contribuendo al PIL nazionale per 34,3 miliardi di euro. Numeri positivi sono stati registrati anche sul fronte occupazionale: l’occupazione diretta è cresciuta del 5,7% complessivamente e il cluster assorbe oggi un’occupazione complessiva, tra addetti diretti ed indotto, pari a circa 529 mila unità di lavoro (il 2,2% della forza lavoro del Paese).

Ma quali sono le performance per i singoli segmenti del settore? In termini di valore della produzione il 41,9% è attribuibile ai trasporti marittimi (12,3 miliardi di euro), il 22,1% alla logistica portuale e servizi ausiliari (6,5 miliardi di euro), il 20,7% alla navalmeccanica (6,1 miliardi di euro), il 9,4% alla cantieristica da diporto (2,8 miliardi di euro), il 5,8% alla pesca (1,7 miliardi di euro). Il 78,9% del valore generato è legato alle attività produttive in senso proprio (il trasporto marittimo, la cantieristica navale e da diporto, le attività logistiche portuali, la pesca); il 13,6% è generato invece da attività istituzionali (Marina Militare, Guardia costiera, Capitanerie di porto, Autorità portuali). A ciò si aggiunge un ulteriore 7,5% determinato dalle spese sul territorio nazionale di diportisti e croceristi.

L’impatto sull’economia italiana delle attività marittime – si legge in una nota – va oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione trasportistica e coinvolge direttamente anche i settori produttivi, manifatturieri e terziari dell’economia. Il cluster marittimo industriale spende annualmente in acquisti di beni e servizi circa 20,5 miliardi di euro”.

Uno sguardo europeo

Secondo il Blue Economy Report 2019 della Commissione europea invece, – spiega la parte della ricerca curata da Cogea –  nel 2017 il fatturato generato dall’economia blu dell’UE ha registrato quota 658 miliardi di euro, mentre il valore aggiunto si è attestato a 180 miliardi di euro (quindi quasi 480 miliardi di costi intermedi, cioè di acquisti effettuati negli altri settori dell’economia). Il settore ha dato, inoltre, lavoro a circa 4 milioni di persone in tutta l’UE e ha generato investimenti per 15 miliardi di euro.

“Il ruolo strategico del Mediterraneo”

Dal contributo a cura di Srm-Gruppo Banca Intesa emerge, infine, come il Mediterraneo ricopra “un ruolo strategico che, negli ultimi anni, le dinamiche economiche stanno ulteriormente consolidando”. In questo mare si concentra il 20% dello shipping globale, a testimonianza di una centralità crescente suffragata anche dal dato dei flussi di navi portacontenitori lungo le maggiori rotte Est-Ovest, da cui si evince la maggiore crescita dell’Europa-Asia. In questi Paesi, l’incremento ha registrato un tasso medio annuo rispetto al 1995 dell’ 8,2%, seguita da quella transpacifica (+5,6%) che comunque resta la più trafficata e, infine, da quella transatlantica (+4,4%).

“E’ necessaria più attenzione sul piano politico”

Quella legata al mare è una realtà che per il suo rilievo e la sua integrazione richiederebbe una più efficace e coerente attenzione sul piano politico e amministrativo. – ha affermato, come si legge in nota, il presidente della Federazione del Mare, Mario Mattioli –Questione quanto mai sentita tra i soggetti pubblici e privati che in essa operano da quando le competenze marittime sono state progressivamente disperse tra più dicasteri, compromettendo le possibilità di elaborazione di una politica nazionale del settore e di una sua promozione in ambito europeo. Il settore marittimo è infatti fortemente regolato, sia a livello internazionale, sia europeo e nazionale.Non a caso un deciso processo di ammodernamento normativo ne ha assicurato la competitività e favorito lo sviluppo, con le riforme del sistema portuale nel 1994 e nel 1998 della navigazione mercantile internazionale. Tali riforme hanno liberato risorse e portato ingenti investimenti, con ricadute positive per tutto il cluster marittimo”.

L’impatto delle attività legate al mare va ben oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione logistica e tocca direttamente l’intero apparato produttivo nazionale, agricolo e industriale – ha aggiunto Mattioli  tanto che al cluster marittimo vengono attribuiti beni e servizi per un valore pari al 2% del PIL complessivo e al 3,5% della sua componente non statale, con acquisti di beni e servizi nel resto dell’economia italiana che sfiora annualmente i due terzi del valore prodotto dalle stesse attività marittime”.

“L’auspicio della Federazione – ha concluso Mattioli è quindi che anche in Italia, accanto al rafforzamento dell’attenzione dedicata al mare, si giunga all’istituzione di un’unità amministrativa specifica con poteri di coordinamento, in modo che una catena di comando ben integrata porti ad una maggior efficacia nell’adozione e nell’attuazione delle decisioni in campo marittimo (tra queste in primis una semplificazione burocratica) e sia in grado di farlo in tempi conformi agli standard europei e internazionali caratteristici di questo mondo”.


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