- I sistemi di accumulo sono pensati per risolvere il problema dell’intermittenza legato all’uso delle fonti energetiche rinnovabili.
- Uno studio guidato da un istituto austriaco rivela che, spostando cumuli di sabbia all’interno di pozzi minerari, si potrebbe mettere a punto un innovativo sistema di stoccaggio che sfrutterebbe l’energia gravitazionale e un freno rigenerativo.
In senso metaforico, si dice che qualcosa è “una miniera d’oro” quando è una fonte di lauti guadagni. Ebbene, proprio una miniera (vera, in questo caso) potrebbe farci guadagnare l’indipendenza dai combustibili fossili. È l’ipotesi di un gruppo internazionale di ricercatori che propongono un nuovo sistema di immagazzinamento dell’energia rinnovabile basato sull’impiego di siti minerari dimessi. Lo studio, guidato dall’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) con sede in Austria, è stato pubblicato l’11 gennaio sulla rivista Energies. E risponde a due importanti questioni da risolvere nell’ambito della transizione energetica: l’intermittenza e la variabilità legate alle fonti rinnovabili.
“L’energia eolica e quella solare dipendono da fattori come il meteo, le stagioni e, nel caso della seconda, perfino dall’orario. Può capitare che l’elettricità venga prodotta quando non è necessaria, o che manchi quando invece servirebbe. I sistemi di accumulo sono studiati proprio per immagazzinare l’energia che non viene immediatamente utilizzata, per poi rilasciarla nel momento del bisogno”, spiega Behnam Zakeri, ricercatore dell’IIASA. “È un passaggio fondamentale per assicurare il successo della transizione energetica, indispensabile a sua volta per garantire un futuro carbon-neutral”.
Come funziona il sistema di Underground Gravity Energy Storage (UGES)
Fra i sistemi di accumulo più diffusi figurano le batterie e il pompaggio idroelettrico. Le prime non possono immagazzinare energia per un lungo periodo di tempo, a causa del fenomeno dell’autoscarica. Il secondo è un meccanismo complesso che può essere applicato solo in determinati contesti geografici. “La nostra idea, invece, si basa sullo sfruttamento di siti minerari dismessi: a livello mondiale, ce ne sono più di due milioni”, prosegue Zakeri. Quello che propongono è un sistema di Underground Gravity Energy Storage (UGES), basato sullo spostamento di cumuli di sabbia all’interno di un pozzo: dal basso verso l’alto per accumulare energia, e dall’alto verso il basso per rilasciarla, sfruttando un freno rigenerativo.
Quali sono i principali benefici che ne derivano
“Fra i principali benefici, c’è il fatto che lo stoccaggio può essere effettuato a lungo termine, cosa che ha il potenziale per porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili”, commenta Julian David Hunt, principale autore dello studio. Inoltre, questa tecnologia si avvale di infrastrutture esistenti, nella maggior parte dei casi già connesse alla rete elettrica, permettendo di ridurre i rischi derivanti da una mancata supervisione dei siti minerari abbandonati. Infine, non richiede l’utilizzo di materie prime critiche, al contrario delle batterie. Va detto che la sabbia è una risorsa soggetta a sovrasfruttamento, ma i ricercatori specificano che con questo sistema non viene in alcun modo sprecata, bensì continuamente riutilizzata. “In più, non si tratta della sabbia che viene estratta dai fiumi con un significativo impatto sull’ambiente, ma di quella del deserto”, chiarisce Hunt.
Le zone più adatte allo sviluppo del prototipo sono quelle caratterizzate da un territorio pianeggiante, da un’elevata produzione di energia pulita e da una domanda che vede picchi stagionali. I costi iniziali sono di circa 1-10 USD/kWh, con un potenziale globale compreso tra 7 e 70 TWh, concentrato soprattutto in Cina, India, Russia e negli Stati Uniti.
Qual è il suo grado di efficienza
Esiste anche la possibilità di produrre idrogeno con l’energia in eccesso, per poi stoccarlo e utilizzarlo in diversi settori, come quello dei trasporti. Come ribadito dalle istituzioni dell’Unione europea, è sicuramente un’opzione su cui vale la pena investire, ma che presenta varie sfide da superare. Rispetto al sistema di UGES, infatti, richiede una vera e propria supply chain, dalla produzione alla distribuzione, per arrivare al consumo finale. “L’efficienza del metodo a idrogeno è circa del 30 per cento, mentre quella dell’UGES è compresa fra il 60 e l’80 per cento”, conclude Hunt.
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È indubbiamente affascinante pensare che le miniere di carbone possano trasformarsi nella chiave per il passaggio all’energia pulita. Quelle in disuso, ma anche quelle operative, scongiurando così la perdita di posti di lavoro. Un passaggio di testimone dalle fonti fossili alle rinnovabili, per una transizione energetica rapida e inclusiva.
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