L’escalation della tensione geopolitica tra Russia e Ucraina comporterà molto probabilmente un ulteriore rialzo dei prezzi del gas ma l’impatto sull’energia non sarà l’unica ramificazione della crisi. Dal grano all’orzo fino alla segale e al mais, di cui l’Ucraina è un grande produttore, gli analisti affermano che le stesse catene di approvvigionamento agroalimentare sono a rischio.
La situazione è al limite. Con i prezzi del grano a livelli record dal 2008, l’inflazione alimentare è aumentata. Inoltre, qualsiasi interruzione della fornitura di gas naturale influenzerà a sua volta le filiere di produzione agricola ad alta intensità energetica.
Sulle ripercussioni a danno dell’agricoltura italiana, Canale Energia ne ha parlato con il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.
Presidente, secondo quanto da voi affermato se il conflitto in Ucraina non dovesse terminare presto le semine primaverili saranno praticamente dimezzate rispetto ai 15 milioni di ettari precedenti alla crisi. Quali ripercussioni si avranno sulla reperibilità delle materie prime agricole e, concretamente, sulle attività del nostro settore primario?
L’Italia è un paese deficitario di materie prime. Importiamo il 64% del grano tenero per il pane, il 40% di quello duro per la pasta e il 53% del mais che è alla base dell’alimentazione del bestiame. A parte l’effetto diretto sui flussi commerciali dall’area del conflitto, il nostro Paese risente dello sconvolgimento del mercato globale. Russia e Ucraina sono due player di peso rappresentando il 28% degli scambi di grano e il 16% di quelli di mais. La chiusura dei porti sul Mar Nero, diventato un teatro di battaglia, ha aggravato le tensioni sui prezzi che già erano alti.
Ricordiamo poi che le quotazioni delle commodities agricole sono strettamente connesse alle oscillazioni dei mercati finanziari che si muovono sull’onda delle speculazioni. E ora si tratta di una speculazione sulla fame perché se nei Paesi ricchi sale l’inflazione, in quelli più poveri esplodono le carestie. Gli approvvigionamenti dei Paesi del Nord Africa dipendono infatti per l’85% dalle spedizioni ucraine. E gli agricoltori sono i più penalizzati. Continuare a seminare con i costi stellari dell’energia e dei fertilizzanti è impossibile.
I produttori non ce la fanno più e questo non lo dice solo la Coldiretti, ma lo ha certificato anche il Crea, il Centro ricerca del ministero delle Politiche agricole, secondo il quale il 30% delle aziende è a rischio. Così sarà difficile aumentare la produzione e puntare alla sovranità alimentare che Coldiretti sostiene da anni e che oggi è diventata una priorità per l’UE.
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A seguito del conflitto in Ucraina, lo sconvolgimento dei mercati internazionali dell’energia e del cibo minaccia imprese e famiglie, trasporti e approvvigionamenti alimentari. Rilanciando i vostri dati, il prezzo del grano è balzato ben del 53% e sull’agricoltura italiana pesa una bolletta aggiuntiva di 8 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. Quali interventi nel medio periodo possono garantire all’Italia di alleviare gli impatti sull’accesso al cibo e sulla continuità delle operazioni colturali?
Abbiamo accolto con molta soddisfazione la decisione della Commissione europea di destinare alla coltivazione 4 milioni di ettari che erano stati messi a riposo per finalità ambientali. È importante disporre di una superficie aggiuntiva che nel nostro Paese è di 200 mila ettari con un aumento di produzione stimato in circa 15 milioni di quintali tra mais e grano. Ci saremmo aspettati un maggiore coraggio invece sul fronte delle risorse finanziarie. Gli interventi straordinari devono essere davvero straordinari. Da Bruxelles invece sono stati stanziati 500 milioni di cui 50 milioni per l’Italia. Una provocazione.
È andata meglio sul fronte delle misure messe in campo dal Governo Draghi che ha accolto gran parte del nostro pacchetto di proposte. Si spazia dalla ristrutturazione e rinegoziazione del debito bancario delle imprese agricole al credito d’imposta per il gasolio agricolo. E ancora, i 35 milioni di nuovi aiuti per le filiere in crisi e 1,2 miliardi per favorire i contratti di filiera, ma anche lo sblocco di 86 milioni per la zootecnia. È importante la norma tecnica che equiparando il digestato ai fertilizzanti chimici consente di alleggerire i costi di prodotti che tra l’altro non è facile reperire. Bene anche il fotovoltaico che conta su un budget del Pnrr di 1,5 miliardi.
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L’agroalimentare è l’unico settore colpito direttamente dall’embargo che ha portato quasi all’azzeramento delle esportazioni in Russia di prodotti made in Italy come salumi, formaggi e ortofrutta senza risparmiare le specialità nostrane. Queste difficoltà nell’export in cosa si traducono?
In una ulteriore perdita economica per le nostre imprese che finora sono quelle che hanno pagato di più per l’embargo scattato nel 2014. I quasi otto anni sono costati al made in Italy agroalimentare, tra ortofrutta, carni, salumi e formaggi, più di 1,5 miliardi. Tra i prodotti più venduti in Russia ci sono vino e spumanti per 150 milioni, caffè per 80 milioni, olio di oliva per 32 milioni e 27 milioni per la pasta. Si tratta di un mercato importante per i nostri principali settori produttivi che ora è a rischio.
Contro il caro bollette, Coldiretti sta favorendo la transizione verso un modello più sostenibile dell’agricoltura e, dal punto di vista energetico, più indipendente dall’utilizzo di fossili. Dalla tecnologia fotovoltaica al biogas, su quali basi si giocherà la competitività delle aziende agricole 4.0?
Da anni stiamo sollecitando l’accelerazione dei progetti per le agroenergie. Con lo sviluppo del biometano agricolo abbiamo calcolato che è possibile immettere entro il 2030 nella rete 6,5 miliardi di metri cubi di gas verde quadruplicando la produzione attuale. In questo modo si potrebbe coprire il 10% del fabbisogno di gas.
Un aiuto importante potrà arrivare, come dicevo, dal fotovoltaico: con l’installazione dei pannelli solari sugli edifici rurali, senza strappare terreni alla coltivazione, si punta a raggiungere una potenza complessiva di 375.000 kW. Si possono utilizzare anche le cave dismesse che in Italia sono più di 14mila e che potrebbero essere trasformate in parchi agrovoltaici. La Coldiretti è in prima linea per favorire la transizione energetica verso un modello più sostenibile, agricolo ed energetico.
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