Microplastiche e tessuti sono un connubio deleterio per l’ambiente, che ha una sola soluzione radicale, sia lato azienda che lato consumatore, ovvero: produrre meno e meglio per quanto riguarda la prima, comprare meno e meglio per quanto riguarda il secondo. Nell’attesa che il sistema nel suo complesso riveda il proprio modello di produzione e acquisto in modo circolare, le microplastiche continueranno a fare parte dei nostri mari.
Cosa sono le microplastiche
Sono tutte quelle particelle le cui dimensioni sono comprese tra i 330 micrometri e i 5 millimetri e possono essere di origine primaria o secondaria, le prime derivano da pellets (sferette) da pre-produzione, fibre tessili o microsfere abrasive, le seconde dalla disgregazione di rifiuti di plastica più grandi da parte di agenti fisici. Purtroppo, costituiscono un tipo di inquinamento impossibile da rimuovere del tutto una volta finito in acqua, perché la plastica continua a sciogliersi in piccoli frammenti a causa di fattori come vento e raggi ultravioletti.
Le 4 principali fonti di microplastiche
Tra le quattro principali fonti di microplastiche che finiscono dritte nei corsi d’acqua, abbiamo la cosmesi e il make-up, dopo che all’interno dei prodotti sono state inserite le microsfere plastiche.
In Italia, a partire dal primo gennaio 2020, i prodotti cosmetici da risciacquo contenenti microplastiche sono fuorilegge, ma lo stesso non vale per altri prodotti come i trucchi contenenti glitter.
L’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha stilato una lista di ingredienti che ne indicano la presenza: il polyethylene (PE), il polymethyl methacrylate (Pmma), il nylon, il polyethylene terephthalate (Pet), il polypropylene (PP).
In secondo luogo, la parte esterna degli pneumatici che è costituita da polimeri sintetici mescolati a gomma e altri additivi e da un buon numero di microplastiche, che si propagano in seguito all’attrito degli pneumatici con l’asfalto.
Altro settore incriminato la pesca, nonostante un accordo internazionale introdotto nel 1988 vieti ai pescherecci di abbandonare in mare reti e scarti di plastica. Solo nell’Adriatico sono state raccolte quasi 200 tonnellate di rifiuti in sei anni.
Infine, il settore moda e dei tessuti sintetici: l’utilizzo delle fibre sintetiche è cresciuto enormemente nel settore dell’abbigliamento, coprendo il 61% della domanda di fibre a livello globale.
Le microfibre si creano sia quando i vestiti vengono smaltiti in modo errato e si scompongono nel tempo in piccole particelle nell’ambiente, che quando fibre come il poliammide e il poliestere, attraverso i lavaggi in lavatrice, vengono praticamente sbriciolate.
La Norwegian environment agency ha rilevato che, ogni indumento ad ogni singolo lavaggio può rilasciare fino a 1.900 fibre sintetiche, formando il 35% di tutte le microplastiche in acqua, superando le emissioni di microplastica dei cosmetici.
Microplastiche e tessuti
Lo studio dell’Agenzia europea dell’ambiente pubblicato alla fine di gennaio 2021, evidenzia che in Europa, il consumo globale di fibre sintetiche è passato da poche migliaia di tonnellate nel 1940 a più di 60 milioni di tonnellate nel 2018, e continua ad aumentare. Negli ultimi trent’anni, il poliestere ha superato il cotone come fibra più comunemente usata nel tessile. La maggior parte delle fibre tessili sintetiche sono prodotte in Asia e l’Europa è il più grande importatore mondiale, pur producendole ed esportandole anch’essa. Secondo le stime, nel 2018 in Europa, sono state prodotte 2,24 milioni di tonnellate di fibre sintetiche, 1,78 milioni di tonnellate sono state importate, 0,36 milioni di tonnellate esportate e ben 3,66 milioni di tonnellate consumate.
Frammenti di fibre
I frammenti di fibre difficili da degradare non vengono prodotti solo dai materiali sintetici, ma anche da quelli come cotone o lana, se trattati con tinture o impregnazione. Il principale problema dei frammenti di fibre è la loro persistenza, ovvero il fatto che la plastica non è biodegradabile e le quantità nell’ambiente aumentano costantemente nel tempo.
La richiesta di alcune caratteristiche che i tessuti devono avere, come ad esempio l’asciugatura rapida, sono soddisfatte soprattutto dai tessuti sintetici, anche se esistono delle soluzioni naturali e semi-sintetiche, come la canapa, le fibre di alghe, la seta di soia o le fibre di scarti alimentari, oppure la viscosa, il modal e il lyocell.
Fattori che aumentano il rilascio di microfibre durante il lavaggio
Alcuni fattori fanno aumentare il rilascio di microplastiche durante il lavaggio in lavatrice, come ad esempio gli anni del capo: più è datato, più sarà alta la quantità di microplastiche rilasciate; la qualità del tessuto: un tessuto scadente e di bassa qualità, può rilasciare fino al 170% in più di microplastiche; il tipo di tessuto, ad esempio l’acrilico risulta essere il peggiore, in quanto rilascia più velocemente di altri tessuti come il poliestere, le microplastiche. La temperatura dell’acqua e il detergente usato durante il lavaggio, insieme alla durata di quest’ultimo, impattano altrettanto negativamente: alta temperatura e detergente aggressivo favoriscono il deterioramento e il rilascio di microfibre.
Gli aspetti negativi del poliestere: non solo microplastiche
Oltre all’inquinamento da microfibra, il poliestere e altri tessuti artificiali hanno molti altri svantaggi ambientali, tra cui: la notevole quantità di energia che il processo di produzione del poliestere e di altri tessuti sintetici richiede, rilasciando grandi quantità di emissioni tossiche nell’aria, come il particolato e alcuni gas, oltre a ciò i sottoprodotti della produzione di poliestere includono anche gli inquinanti dell’acqua come monomeri e solventi. Inoltre, durante la produzione di molti tessuti vengono usate sostanze chimiche tossiche, tra cui perfluoro-chimici (Pfc), ftalati, coloranti azoici, dimetilformammide (Dmf), etossilati di nonilfenolo (Npe), nonilfenoli (NP) e triclosano.
Possibili soluzioni
Il numero di microfibre di plastica accumulate nell’oceano entro il 2050 potrebbe arrivare a superare i 22 milioni di tonnellate.
Pertanto, ognuno nel suo piccolo è bene che si attivi con soluzioni alla portata di tutti, come ad esempio: mettere un filtro alla propria lavatrice, oppure utilizzare delle washing bag. Entrambi però non sono risolutivi, se non in un primo momento, in quanto le microfibre verranno rimosse dal sacchetto e dal filtro per poi essere gettate nella spazzatura e finire comunque in discarica.
Migliorare i processi di produzione del tessuto potrebbe essere un’altra strada da percorrere: la maggior parte dei frammenti di fibre viene prodotta durante i primi tre cicli di lavaggio in lavatrice. Una soluzione dunque, potrebbe consistere in un trattamento subito dopo la produzione, per rimuovere i residui di quest’ultima in modo controllato, prima che il prodotto venga messo in vendita.
Focus sull’abbigliamento sportivo
L’activewear (abbigliamento indossato per fare sport) è per lo più realizzato con nylon vergine e poliestere, in altre parole, con plastiche derivate da combustibili fossili, così oltre il 90% di tutto l’abbigliamento sportwear che è realizzato con materie plastiche come poliestere e nylon e subisce trattamenti particolari, ad esempio per poter essere impermeabile.
A partire dal 2019, c’è stato un aumento dell’80% dell’abbigliamento sportivo in poliestere riciclato dalle bottiglie di plastica o da tessuti di scarto, in aggiunta, alcuni produttori di abbigliamento stanno mostrando maggiore sensibilità anche in questo settore: ad esempio, Patagonia sta lavorando allo sviluppo di trattamenti tessili che utilizzano materiali grezzi e naturali e, insieme ad Adidas, ha promesso di eliminare gradualmente i Pfc. Altri, come Alternative Apparel, Ibex, SilkAthlete e EvolveFitWear stanno utilizzando cotone biologico, miscele di seta e lana merino per le loro linee di abbigliamento sportivo.
Anche in questo settore, stanno prendendo sempre più piede le fibre riciclate o artificiali come il lyocell, fibra tessile artificiale di origine naturale estratta dalla cellulosa della pianta di eucalipto.
Spesso viene definita una fibra tessile naturale, ma questo non è corretto, perché è una fibra artificiale realizzata in laboratorio attraverso processi e sostanze chimiche, per la cui estrazione si richiede un notevole consumo di queste e di acqua.
Perciò, lo si può definire tessuto ecologico solo quando viene prodotto da aziende certificate come l’austriaca Lenzing, che utilizza processi innovativi e a ridotto impatto ambientale.
Lenzing è il maggiore produttore al mondo di lyocell e Tencel è il marchio di proprietà di Lenzing AG con il quale certifica la produzione delle fibre tessili lyocell e modal (estratto dalla polpa di alberi di faggio).
Entrambe le fibre sono realizzate con lo stesso processo di lavorazione a ciclo chiuso ecologico. Lyocell e tencel sono fibre tessili artificiali molto simili al bamboo, che è ecologico solo quando accompagnato da certificazioni tessili come Oeko-Tex.
Senza questo tipo di certificazioni, non possiamo avere nessun tipo di garanzia sul fatto che non vengano utilizzate sostanze chimiche durante la lavorazione.
Alcuni brand sostenibili di abbigliamento sportivo
Ecco alcuni brand sostenibili che hanno deciso di focalizzarsi sull’abbigliamento sportivo.
Be.GiN, linea di abbigliamento sportivo di CasaGin, brand italiano di moda sostenibile, composta da tre collezioni: Be.Life, realizzata interamente con un materiale a biodegradabilità accelerata chiamato green performing 2.0; Be.Eco, realizzato in econyl, nylon rigenerato dalle reti da pesca e Be.Performance, che abbina la tecnologia dei tessuti con trama a rete delle fibre rigenerate al tessuto green performing 2.0.
Margareth and hermione marchio austriaco che realizza abbigliamento sportivo riciclando le reti da pesca. Tutta la filiera produttiva è sostenibile e i materiali sono certificati.
Licia Florio brand milanese sostenibile, produce prodotti zero waste ed in materiali riciclati. Le stoffe sono tinte con la tecnologia Bluesign, cioè senza l’uso di agenti chimici dannosi.
Patagonia offre una vasta gamma di capi creati con materiali riciclati e in fabbriche certificate fair-trade. Il brand rende possibile far riparare e riciclare in nuove fibre il proprio capo Patagonia in negozio.
Iroon roots produce capi che non contengono microplastiche, utilizzando la fibra di eucalipto e la canapa.
Girlfriend collective, che utilizza la plastica recuperata dal mare e attraverso il suo programma ReGirlfriend offre piani di riciclo che contribuiscono ad un sistema circolare, scomponendo i vecchi capi, riciclando il vecchio filato di poliestere in un nuovo filato e mischiandolo con il nuovo filato di poliestere riciclato.
Perff studio utilizza tessuti riciclati e ogni paio di leggings è realizzato con 25 bottiglie riciclate.
Colorful standard utilizza cotone biologico certificato e tinture a basso impatto certificate Oeko-Tex.
Nu In abbigliamento composto da materiali riciclati e cotone biologico; il loro packaging è compostabile e certificato Fsc (Forest Stewardship Council), che garantisce albereti di eucalipto ecosostenibili. La certificazione Fsc verifica che i terreni scelti siano idonei.
Ambiletics produce i tessuti riciclando le bottiglie di plastica.
Luna and soul Active è un marchio specializzato in abbigliamento da yoga vegano e che usa solo tinture naturali.
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