- Le aziende petrolifere sfruttano il gas flaring per liberarsi del metano in eccesso.
- Se la combustione non avviene in modo efficiente, una parte del gas finisce comunque nell’atmosfera, con gravi danni per il clima.
Il cosiddetto gas flaring è una pratica che consiste nel bruciare il metano estratto insieme al petrolio. Per quanto controversa, è una soluzione cui si ricorre di frequente, dato che conservare il gas e gestirne il trasporto verso i luoghi di consumo è molto più costoso.
Se la combustione avviene in maniera efficiente, quasi tutto il metano viene distrutto e convertito in anidride carbonica che, nel breve periodo, ha un impatto minore sul clima. Uno studio che ha coinvolto i tre più grandi bacini petroliferi statunitensi – nel Texas e nel Dakota del Nord – ha però dimostrato che non sempre i risultati sono quelli sperati.
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Ridurre il metano in atmosfera è fondamentale per centrare gli obiettivi climatici
Dalla ricerca, condotta da un gruppo internazionale di scienziati e pubblicata il 29 settembre sulla rivista Science, emergono due risultati allarmanti: nei siti esaminati, la percentuale di metano distrutto con il gas flaring ammontava solo al 95 per cento, e non al 98 come stimato in precedenza. Inoltre, il vento, le variazioni di pressione o eventuali malfunzionamenti possono causare lo spegnimento delle fiamme che, in mancanza di un monitoraggio efficace, rischiano di rimanere spente per molto tempo.
Per questo, secondo i ricercatori, le emissioni di metano derivanti dal gas flaring rappresentano fino al 10 per cento di tutte le emissioni di metano nell’industria petrolchimica. Se si aumentasse l’efficienza del processo, garantendone la continuità, sarebbe come togliere tre milioni di automobili dalle strade statunitensi. Già l’anno scorso le Nazioni Unite avevano sottolineato l’importanza di ridurre la quantità di CH4 nell’atmosfera, per poter centrare gli obiettivi climatici che la comunità internazionale si è fissata.
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