Da uno studio pubblicato lo scorso 3 novembre sulla rivista scientifica Nature “Carbon implications of marginal oils from market-derived demand shocks”, che mette in relazione la produzione di 1933 campi petroliferi con la loro redditività, si è scoperto che un lieve shock della domanda di petrolio farebbe tagliare per primi i barili a maggiore intensità di carbonio.
Quindi, uno shock, quale ad esempio, la rapida diffusione di veicoli elettrici potrebbe determinare un calo significativo delle emissioni di carbonio, ben superiore a quanto previsto finora.
I campi petroliferi
Secondo lo studio pubblicato da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Stanford, Pittsburgh, Ford, Aramco e German Aerospace Center, siccome i campi petroliferi producono greggio con diversi livelli di resa ed emissioni di carbonio, le compagnie petrolifere potrebbero ridurre la produzione con intensità di carbonio (quantità di emissioni per ogni barile estratto) superiore alla media.
Lo studio
Lo studio mette in relazione le emissioni di CO2 prodotte dall’estrazione del petrolio di 1933 campi petroliferi, responsabili di circa il 90% della produzione mondiale di greggio, con la loro redditività.
I ricercatori, facendo la stima dell’offerta di petrolio della singola compagnia petrolifera, sulla base di un modello dinamico, sono riusciti a capire quali produttori ridurrebbero i volumi estratti e in quale quantità, nel caso in cui si verificasse uno shock della domanda di petrolio a livello globale.
“I nostri risultati mostrano come uno shock negativo alla domanda mondiale di petrolio induca un taglio della produzione non lineare, spiega Valerio Dotti, ricercatore al Dipartimento di economia di Ca’ Foscari. I barili non estratti avrebbero un’intensità di carbonio dal 24 al 54% superiore alla media, a seconda delle specifiche del modello e dell’entità del calo della domanda. Questo implica che, anche una modesta riduzione della domanda mondiale di petrolio (ad esempio -2,5%, -5% e -10% nella nostra analisi) ha un effetto considerevole sulla riduzione delle emissioni di CO2 dovute al settore petrolifero”.
La redditività della produzione
La spiegazione del perché ciò avvenga, sta nella redditività della produzione, ovvero: i produttori sarebbero portati a privarsi in prima battuta dei barili meno proficui, che sono anche quelli a più alta intensità di carbonio. Infatti, secondo i ricercatori, il petrolio a bassa o media intensità di carbonio è il più redditizio, poi considerando che i produttori non sono tutti uguali, anche i più marginali potrebbero essere relativamente poco colpiti da un calo della domanda.
“Questo risultato ha notevoli implicazioni per il design di politiche pubbliche volte a mitigare il riscaldamento globale, conclude Dotti. Ad esempio, implica che l’introduzione di tecnologie volte a ridurre il consumo di combustibili fossili ha un effetto sulla riduzione delle emissioni di CO2 superiore a quanto precedentemente creduto sulla base dei valori delle emissioni medie per barile estratto”.
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