L’impronta carbonica di un chilogrammo di pelliccia di visone è 31 volte superiore a quella del cotone, 26 volte a quella dell’acrilico e 25 volte a quella del poliestere. La pelliccia di volpe e quella di cane procione producono emissioni atmosferiche circa 104 volte superiori a quelle dell’acrilico, 83 volte a quelle del cotone e 57 volte a quelle del poliestere.
È quanto emerge da uno studio realizzato dalla società di consulenza Foodsteps per conto di Humane Society International/UK, che analizza l’impatto dei materiali lungo tutta la catena di approvvigionamento. Affermare che la pelliccia sia fra le alternative più ecologiche sul mercato non è altro che “un’operazione di greenwashing” da parte dell’industria della pellicceria, stando al nuovo rapporto.
La campagna #FurFreeEurope
“Presentare la pelliccia animale come più sostenibile rispetto a quella sintetica è greenwashing e i consumatori non devono farsi ingannare. L’industria della pellicceria minaccia l’ambiente e sottopone gli animali a condizioni di vita e di morte raccapriccianti. L’Unione europea deve rispondere al milione e mezzo di cittadini e cittadine che hanno aderito all’iniziativa #FurFreeEurope”, commenta Joanna Swabe, direttrice delle relazioni istituzionali di Humane Society International/Europe.
L’impronta idrica dell’allevamento intensivo di volpi e visoni
Ogni anno, circa 100 milioni di animali vengono impiegati per la produzione di pellicce in tutto il mondo. Solo in Europa, vengono allevati e uccisi circa 10 milioni di visoni, volpi e cani procione. Per ogni chilogrammo di pelliccia prodotto sono necessari quasi 30mila litri di acqua.
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Il consumo idrico medio delle tre tipologie di pelliccia è 104 volte superiore a quello dell’acrilico, 91 volte a quello del poliestere e 5 volte a quello del cotone. Per quanto riguarda l’inquinamento idrico, tutte e tre le pellicce sono 100 volte più inquinanti del cotone e 75 volte più dell’acrilico.
La ricerca di nuovi materiali più sostenibili
“La verità è che l’allevamento intensivo di milioni di animali e la lavorazione delle loro pelli con sostanze chimiche non possono mai essere definiti naturali o sostenibili”, conclude la dottoressa Swabe. Humane Society International (HSI) ritiene che, con la diffusione di materiali innovativi di nuova generazione, a base biologica (tra cui la “pelliccia” sintetica realizzata con materie prime di origine vegetale), le alternative cruelty-free diventeranno sempre più ecologiche.
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