L’approccio europeo, con iniziative come RePowerEU e la Tassonomia, sta chiaramente favorendo lo sviluppo della geotermia nel mix energetico. La decisione del Consiglio Energia di dicembre, che promuove l’energia geotermica per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, conferma questa tendenza. In Europa, esempi di investimento non mancano, a partire dai finanziamenti al litio geotermico della Vulcan in Germania, alle varie forme di investimento per tutelare l’incertezza nella fase della ricerca, come avviene in Francia.
Tuttavia, in Italia, l’implementazione della geotermia sembra procedere a rilento, ostacolata, tra le altre cose, da burocrazia, lungaggini sul permitting e l’alta incertezza nella fase di ricerca. Nunzia Bernardo, segreteria tecnica del MASE, sottolinea che il concetto della neutralità tecnologica ha favorito di fatto lo sviluppo della geotermia, e che l’istituzione di un tavolo tecnico interno al Ministero, inteso ad approfondire la conoscenza di questa fonte energetica, è già di per se un passo importante.
Sul tema della geotermia, il tavolo tecnico del MASE sta valutando diversi approcci e strategie per incrementare la risorsa geotermica nel nostro paese. In particolare, attraverso tre strumenti principali:
- Strumento tecnico: potenziare le conoscenze della geotermia in Italia prendendo queste conoscenze dalla “zonazione geotermica”, strumento tecnico che consente di indirizzare l’investimento.
- Strumento finanziario: creare opportunità per gli incentivi ed effettuare una valutazione dei costi a regime degli impianti geotermici, considerando il delta costo aggiuntivo rispetto ad altre tecnologie.
- Strumento legislativo: la normativa di riferimento sulla geotermia in Italia si riferisce al Decreto Legislativo 22/2010, che però si concentra su un certo tipo di tecnologia con previsioni per piccole utilizzazioni locali. Da qui scaturisce il DM 378/2022 per una migliore fluidità.
“La zonazione geotermica è uno strumento fondamentale, perché c’è un rischio minerario associato molto elevato, per cui si parla di derisking. La zonazione consente di indirizzare l’investimento e di implementare la tecnologia in maniera ponderata rispetto alle potenzialità del territorio. Grazie al Tavolo Tecnico sulla geotermia, abbiamo avuto un’interlocuzione con gli attori chiedendo la possibilità di avere un paniere di impianti operanti in italia. Questo serviva per valutare quale fosse il costo a regime e poter approfondire l’aspetto degli incentivi in maniera specifica al tipo di tecnologia. Quindi c’è un delta di costo in più da valutare per la geotermia, che non è contemplato in altre tecnologie. Infine, il DM 378/ 2022 è stato, possiamo dire, una vittoria, perché c’erano regioni più avanzate dal punto di vista della normativa sul settore geotermico, altre invece meno. In questo caso si è dato un benchmark per tutti”, ha spiegato Nunzia Bernardo.
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Barriere normative e procedurali
Nonostante i benefici economici, ambientali e occupazionali della geotermia, l’Italia ha perso terreno rispetto ad altre nazioni. La complessità delle autorizzazioni comunali e la mancanza di una visione multidisciplinare hanno frenato lo sviluppo del settore.
Come spesso succede, un nodo cruciale riguarda una mancanza di chiarezza normativa. La legge del 2010, ad esempio, non fornisce sufficienti certezze ai richiedenti. Gli alti rischi che si assume chi fa istanza per una licenza di ricerca non si traducono in certezza di sviluppo. Per questo gli operatori propongono di semplificare le procedure, consentendo al richiedente di ipotizzare lo sviluppo dell’impianto già in fase di permesso di ricerca, con maggiori garanzie ai fini della concessione.
Anche la definizione di aree non idonee, adatta a fotovoltaico ed eolico, non si applica alla geotermia, che per sua natura è site-specific. Si renderebbe opportuno escludere la geotermia da questa classificazione. Inoltre, le autorizzazioni regionali, spesso influenzate da umori locali e competenze specifiche carenti, necessitano di linee guida nazionali e di un’autorità che stabilisca indirizzi e linee guida.
Semplificazione delle procedure, chiarezza normativa, potenziamento delle competenze regionali sono essenziali per sbloccare le barriere e allineare l’Italia allo sviluppo della geotermia in Europa. L’adozione delle linee guida europee, come quelle del progetto GeoENVI per gli studi di impatto ambientale, può facilitare questo processo.
Nel paniere delle energie rinnovabili
Oggi, la geotermia si trova a competere all’interno del vasto panorama delle energie rinnovabili, dove coesistono tecnologie molto diverse tra loro. A differenza di fonti come il solare, che in alcuni momenti producono persino un’eccessiva quantità di energia mandando a zero i ricavi, la geotermia offre una disponibilità costante e soprattutto programmabile. Mentre l’idrogeno e il nucleare sono ancora in fase di sviluppo, la geotermia, pur gravata da un complesso iter burocratico, è una realtà consolidata.
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Inoltre, il modello di business della geotermia si distingue nettamente da quello delle altre rinnovabili, avvicinandosi maggiormente al settore minerario e dell’Oil&Gas. Questo perché comporta un elevato rischio nella fase di ricerca, ma offre anche la possibilità di rendimenti significativi. L’insuccesso di un pozzo geotermico, infatti, si traduce in una produzione nulla.
Questa peculiarità incide notevolmente sulla valutazione dei rischi da parte dei finanziatori. In fase di due diligence con gli investitori, è emerso che i progetti geotermici presentano un profilo di rischio considerato molto elevato dalle banche. Ma anche il panorama industriale è cambiato: se in passato grandi aziende come l’ENEL potevano affrontare la fase di ricerca con maggiore facilità, oggi il contesto è più complesso.
“Quando devo fare un impianto da 100 o 200 milioni di euro, non è che li tiro fuori tutti di tasca mia. Vado a chiedere alle banche e ai fondi. Questi cercano esperti che gli valutano il rischio. E nonostante la disponibilità a pagare per sviluppare degli impianti geotermici, ho dovuto dire alla banca è che il rischio di quell’investimento lì era altissimo. Ma non per la risorsa che c’era, ma per come è stato affrontato il progetto. Quindi, la ricerca deve fare molto, ma anche l’industria deve capire che il mondo è andato avanti (…). Ci deve essere uno scambio fra il mondo della ricerca e il mondo dell’industria. E spiegarlo, soprattutto spiegarlo, perché se le cose vengono spiegate e si riesce a togliere un cappello di preconcetti, insomma, sono fiducioso che le cose possono andare avanti”, ha dichiarato Giuseppe Mandrone, vice direttore Dipartimento Interateneo di Scienze, DIST Università degli Studi di Torino.
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