Eni ha citato in giudizio Greenpeace Italia e ReCommon, accusandole di diffamazione, come riportato il 10 ottobre in una nota stampa. La decisione dell’azienda fa seguito alla climate litigation avviata nei suoi confronti dalle due organizzazioni che, l’anno scorso, l’hanno portata in tribunale allo scopo di attestare le sue responsabilità di fronte alla crisi climatica.
La tesi di Greenpeace e ReCommon
“Le aziende fossili come Eni, cercando di zittire ogni voce che si leva in difesa del clima, non solo aggravano la crisi ambientale, ma minacciano alcuni pilastri fondamentali per la nostra società: la libertà di espressione e il diritto a un ambiente integro e vivibile”, dichiarano Greenpeace Italia e ReCommon, sottolineando come questo diritto sia sempre più minacciato dall’aumento dei fenomeni meteorologici estremi, a loro volta esacerbati dal riscaldamento globale.
Dopo varie minacce legali, ENI fa causa per diffamazione a noi e @Recommon per provare a zittirci.
Ma non ci fermerà. ✊
Continueremo a denunciare le sue responsabilità nella #crisiclimatica finché non avremo giustizia.
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— Greenpeace Italia (@Greenpeace_ITA) October 10, 2024
Le due organizzazioni sostengono che la causa per diffamazione intentata da Eni corrisponda a una SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), una causa civile intentata da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica. “Nonostante questi tentativi intimidatori, la nostra determinazione nel difendere il Pianeta resta incrollabile”, concludono.
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La risposta di Eni
Dal canto suo, Eni sostiene che “l’azione civile promossa da Greenpeace, ReCommon APS e alcuni attori privati rispecchia una demonizzazione del ruolo della grande impresa in Italia e si fonda su tesi e pregiudizi smentiti dai fatti”.
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