Inostri habitat hanno un valore ecologico inestimabile. Sono gli scrigni della più ricca biodiversità vegetale e animale al mondo, contribuiscono in maniera determinante a mitigare gli effetti del cambiamento climatico e intervengono naturalmente nella messa in sicurezza del suolo: “Occorre perciò proteggere l’ambiente con una diversa gestione del territorio rurale, più attenta alla bioeconomia e all’ingegneria naturalistica. Non dobbiamo dimenticare che i boschi, ad esempio, sono presidi vulnerabili, esposti al rischio di incendi e agli attacchi di parassiti. Il tempo stringe e il rapporto tra urbanizzazione e degrado dell’ambiente è a livelli critici”.
Lo ricorda a Canale Energia il presidente della fondazione UniVerde, Alfonso Pecoraro Scanio, già ministro delle Politiche agricole e dell’Ambiente, a tre mesi dalla modifica della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente.
Il 5 giugno correranno trent’anni dalla ratifica della Convenzione di Rio, i cui principi continuano a segnare le linee guida per la tutela la biodiversità in natura. Guardando al nostro Paese, fino al 20 maggio sarà aperta la consultazione pubblica avviata dal ministero della Transizione ecologica per la Strategia nazionale biodiversità 2030 per il ripristino e la protezione degli ecosistemi. Quali sono lo stato dell’arte e la direzione delle misure ancora da intraprendere?
Molto spesso di Rio si ricorda soprattutto la Convenzione sui cambiamenti climatici. Ma in realtà quella sulla Diversità Biologica è altrettanto importante, una tappa alla base della costruzione della strategia mondiale per l’uso sostenibile e la tutela di tutte le componenti della biodiversità. Occorre ripartire da qui per mettere in campo un’azione sempre più decisa per il recupero degli habitat e creare il processo inverso. Quindi recuperare e ripristinare dove possibile la biodiversità perduta, soprattutto facendo in modo che in alcuni ecosistemi vengano adeguatamente protette specie vegetali e animali a rischio estinzione. Fattori critici come deforestazione, cementificazione, inquinamenti e urbanizzazione hanno portato non solo alla frammentazione degli habitat ma alla perdita di importanti livelli di biodiversità.
Non dobbiamo dimenticare che gli ecosistemi in salute forniscono aria pulita, terreni di qualità, aiutano a combattere gli effetti del cambiamento climatico, sono cioè risorse essenziali che diamo per scontate. I polmoni verdi convertono energia dal sole rendendola disponibile ad altre forme di vita in una catena di relazioni che non deve spezzarsi. Ecco perché i nuovi obiettivi legalmente vincolanti a livello internazionale devono assicurare che entro il 2050 tutti gli ecosistemi del mondo siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti per arrestare la perdita di biodiversità. Anche l’Italia deve fare la sua parte.
In Italia, in particolare, a quali obiettivi si dovrà puntare?
Dobbiamo salutare come un grande risultato il fatto che la biodiversità e la tutela degli ecosistemi siano entrati nella Costituzione della Repubblica. È una battaglia che personalmente conduco da più di vent’anni e che mi ha portato a promuovere su Change.org la petizione civica #SubitoAmbienteInCostituzione con l’adesione di oltre 75.000 cittadini. Sulla base di questo movimento, abbiamo dato vita a una campagna di pressione sul Parlamento, in cui è stata l’azione di alcune senatrici e senatori sensibili al tema, cito Loredana De Petris e Gianluca Perilli ma anche la relatrice della riforma costituzionale, Alessandra Maiorino. E voglio ringraziare tutti i parlamentari che hanno votato la riforma.
Non si tratta tuttavia di un punto d’arrivo ma di un punto di ripartenza per chiedere leggi e sentenze coerenti ai nuovi principi inseriti nella Carta costituzionale. Per questa grande vittoria vanno ringraziati i cittadini e i parlamentari che si sono impegnati. Come detto, ora dobbiamo ottenere l’attuazione dei nuovi principi che impongono di pensare anche alle future generazioni. Servono leggi che rafforzino la tutela di biodiversità, ecosistemi e animali oltre all’esigenza di adeguare il Pnrr e la transizione ecologica e digitale al nuovo dettato costituzionale.
Si deve puntare al fotovoltaico sulle coperture degli edifici, per evitare ulteriore spreco di suolo, e allo sviluppo dell’eolico offshore lontano dalla costa con particolare tutela delle esigenze paesaggistiche e della biodiversità marina e delle rotte dei migratori. Non servono piattaforme per idrocarburi e per le rinnovabili gli impianti devono rispettare i territori e le regole della vera sostenibilità.
Da ministro dell’Ambiente è stato autore del D.M. 184/2007 che istituì la Rete Natura 2000. Il decreto ha dato forza in Italia alla tutela della biodiversità di flora e fauna nelle Zone speciali di conservazione (Zpc) e nelle Zone di protezione speciale (Zps). Oggi cos’altro servirebbe?
Proprio il 21 maggio saranno trent’anni dalla direttiva habitat e la protezione delle nostre ricchezze naturali è un investimento sul futuro. Rete Natura 2000 ha aiutato in questi anni non solo a potenziare il turismo sostenibile ma anche a migliorare la nostra salute e il benessere. Ora però serve andare oltre. Bisogna perseguire l’obiettivo del 30% di protezione a terra e a mare del territorio nazionale e occorre lavorare anche a recuperare la biodiversità nelle aree urbane. Quello di cui abbiamo bisogno è un grande lavoro di manutenzione delle aree verdi e boschive, la cui superficie si è spesso ampliata per l’abbandono dei terreni, a causa dell’incuria. Ma soprattutto investire nel recupero di qualità di tutti i nostri ecosistemi, fare in modo che la biodiversità anche agroalimentare sia collegata a quella naturale.
L’agricoltura può avere infatti un grande ruolo nel ripristino della biodiversità, come hanno dimostrato importanti azioni come quelle realizzate da Campagna Amica, con i sigilli per la conservazione della biodiversità agricola e del paesaggio agro-silvo-pastorale recuperando e salvando dall’estinzione anche cultivar trascurate, oppure ancora i presidi Slow Food che sostengono le produzioni di qualità, tutelano ecosistemi autoctoni, recuperano metodi di lavorazione tradizionali.
C’è un bel lavoro da fare a terra e altrettanto determinante è lo sforzo da rivolgere al mare. Penso, ad esempio, al Santuario dei Cetacei nel mar Ionio, nella zona di Taranto, che potrebbe svilupparsi sul modello di quello che esiste nell’alto Tirreno. Così come si dovrebbe puntare ad aumentare le aree protette a terra in modo significativo e dare pari dignità a quelle a mare modificando la definizione di quelle a mare chiamiamole parchi marini. La tutela degli ecosistemi marini non è un impegno stagionale, ma è una priorità a quattro stagioni.
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