Le piccole e medie imprese costituiscono circa il 99% delle aziende europee. Sono loro in prima fila a raccogliere la sfida dell’efficienza energetica del Vecchio Continente, come sono loro le prime ad aver affrontato e sofferto la crisi energetica.
Un contesto sfidante in quanto per ridurre i propri consumi e ottimizzare il proprio costo energetico il primo step è conoscere i propri dati di consumo e le proprie caratteristiche strutturali come costi e competenze necessari. Dati che nel complesso le Pmi ignorano. Un limite intrinseco nella loro stessa struttura, circa l’87% delle Pmi è costituito da realtà autonome anche sotto il profilo delle scelte finanziarie.
Una valida diagnosi energetica rappresenta il primo passo per presentare un piano di finanziamento credibile con cui ottenere il sostegno necessario ad affrontare le integrazioni tecnologiche e le implementazioni utili a ottenere un efficienza generale dei consumi.
“Aumentare l’efficienza energetica è cruciale per i paesi europei” sottolinea Claudia Canevari DG Energy European Commission nel corso della presentazione del progetto europeo Leap4SME a Bruxelles ieri 4 luglio. “Come ha dimostrato la crisi energetica. Per questo il Repower EU considera l’efficienza energetica come centrale per risparmiare energia, e la considera uno dei tre asset insieme a produrre energia pulita e diversificare le fonti. In questo modo è possibile essere più sostenibili, resilienti e ottimizzare le risorse”.
Per questo l’Europa ha risposto alla crisi ponendosi degli obiettivi più ambiziosi che, ricorda la Canevari, hanno anche toccato aspetti centrali per le imprese.
“E’ stato introdotto un approccio importante e innovativo ai sensi dell’articolo 11 della rifusione del EED. Il nuovo articolo 11 – l’attuale articolo 8 – sposta il criterio degli audit energetici e dei sistemi di gestione dell’energia dalle dimensioni e dal tipo di impresa al suo consumo energetico. In questo modo,“, spiega la Canevari “i più energivori possono beneficiare delle soluzioni di risparmio energetico più efficienti in termini di costi. Mentre le imprese ad alta intensità energetica, con il consumo medio annuo superiore a 85 TJ, saranno obbligate ad attuare il sistema di gestione dell’energia. Le aziende con un consumo medio annuo superiore a 10TJ saranno soggette a un audit energetico ogni quattro anni”.
Un piano di azione per la diagnosi energetica
“Una delle principali sfide individuate nella valutazione della direttiva sull’efficienza energetica è stata l’effettiva mancanza di un’adeguata attuazione delle raccomandazioni sulle diagnosi energetiche.” sottolinea la Canevari. Per questo ora le raccomandazioni serve attuare un piano d’azione degli audit energetici, “con le misure concrete per attuare ogni singola raccomandazione di audit. Inoltre, i piani d’azione – insieme al tasso di attuazione della raccomandazione – saranno pubblicamente disponibili per aumentare la trasparenza e consentire anche alle imprese di imparare dalle rispettive pratiche ed esperienze”.
Infine sottolinea la Canevari “Per incoraggiare gli Stati membri a creare condizioni adeguate e offrire sostegno alle PMI, l’articolo 11 prevede che gli Stati membri possano istituire meccanismi quali i centri di audit energetico per le PMI e le microimprese, qualora questi non siano in concorrenza con revisori privati, fornire audit energetici e altri regimi di sostegno alle PMI”.
In questo scenario conoscere i propri consumi i propri limiti nell’attuare un buon efficientamento energetico è il primo passo per consumare meno. Questo l’obiettivo di Leap4Sme progetto europeo che vede a capofila l’Enea con la partecipazione, oltre che dell’Italia, di Austria; Portogallo; Grecia; Malta; Slovacchia; Inghilterra; Polonia e Croazia.
“Il progetto si è dimostrato essere un esempio di cooperazione reale dei paesi membri” sottolinea l’ing. Ilaria Bertini, direttrice del Dipartimento Unità per l’Efficienza Energetica di ENEA. “E ha dimostrato come l’approccio italiano in merito sia efficace”.
Gli strumenti di analisi messi in campo da Leap4SME
Il primo step è realizzare una banca dati di costi e consumi delle Pmi. Altro passo è impegnarsi in un energy audit cioè nella conoscenza di come si consuma e dove si potrebbero ottimizzare i costi energetici delle imprese.
“Abbiamo avviato un Osservatorio internazionale in cui raccogliere i dati delle Pmi nei diversi paesi e con cui abbiamo iniziato a effettuare alcune valutazioni” spiega Enrico Biele programme manager di Enea e coordinatore del progetto europeo (vedi l’intervista video completa). “Abbiamo inoltre deciso che il progetto dovesse diventare da subito uno strumento effettivo che potesse operare e dare supporto alle politiche di efficientamento energetico delle diverse agenzie nazionali”.
Il progetto che ha coinvolto nove agenzie dell’energia europee mette il punto su come una valida diagnosi energetica sia il necessario primo elemento di efficientamento energetico. A questa va affiancata una corretta gestione degli interventi nel tempo, tenendo conto anche dei benefici non strettamente energetici.
Un approccio europeo con una visione locale
“Serve un approccio differente e customizzato per singolo paese” sottolinea Alena Mastantuono vice presidente session TEN della European Economic and social committee (EESC). “Dobbiamo conoscere le barriere con cui si confrontano i singoli paesi”.
“Nel nostro caso abbiamo capito che è necessario avere due approcci diversi che differenziano le Pmi dalla micro-imprese” evidenzia Petra Lackner direttrice del commercio e industria dell’Austrian energy agency. “Le seconde riteniamo che siano più assimilabili ai consumi domestici e come tali a quel tipo di misure”.
“Nonostante si usi uno strumento simile come l’energy audit” rimarca la Mastantuono. “Alcune aziende possono voler investire di più in produzione di energia da rinnovabili piuttosto che in efficienza energetica. Credo che la regolazione debba offrire una sorta di trampolino di lancio per offrire strumenti che mirino a ottimizzare i propri costi energetici e far comprendere come l’efficienza sia una opportunità, piuttosto che limitarsi a obbligare a questa o a quest’altra applicazione. Per avere successo in questo dobbiamo far sì che quello che offriamo alle aziende sia più un’opportunità di carattere volontario e il più chiare possibile” conclude.
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